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Tartufo di Pizzo, non chiamatelo gelato: storia di un capolavoro a bassa temperatura

Tartufo di Pizzo, non chiamatelo gelato: storia di un capolavoro a bassa temperatura

Non è DOP, non è IGT, non è Slow Food: il tartufo di Pizzo è semplicemente arte. Difficile, perciò, ingabbiarlo in una definizione o sotto un’etichetta perché non basta dire gelato o dessert per rendere l’idea. Bisogna mangiare per credere e bisogna mangiarlo qui perché un delivery non avrà mai lo stesso sapore di un tartufo gustato ad un passo da “u spundune”, la balconata di Pizzo Calabro (VV) che affaccia sul Golfo di Sant’Eufemia e sul tramonto dove lo sguardo si perde tra il Castello Murat e l’infinito. Qui, anche “Il collezionista di venti” resta a godersi lo spettacolo mentre la brezza porta via un po’ di cacao dai piattini sporchi di gelato. È una delle opere di Edoardo Tresoldi, proprio adiacente alla terrazza panoramica, diventata tra i simboli di Pizzo e uno dei posti più instagrammabili del borgo.

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ph. @cla_3105_

C’è arte in giro a Pizzo e c’è amore: per la tradizione, innanzitutto. Perché è impossibile arrivare fin qui e non onorarla: “Andiamo a mangiare il tartufo a Pizzo”, per gli amanti della gastronomia, è una vera dichiarazione. L’unica domanda che resta da fare, all’uscita dell’autostrada, è: “Andiamo da sopra o da sotto”? Perché il paesino ha due ingressi che portano giù alla marina o su al centro storico. È la stessa cosa, tanto alla fine tutte le strade portano al tartufo!

Come le cose più belle della vita, questo piccolo gioiello a metà tra l’arte gelatiera e la pasticceria, è nato per caso. Correva l’anno 1940 quando il maestro pasticciere Dante Veronelli rilevò a Pizzo il Gran Bar Excelsior trasformandolo poi in Gelateria “Dante”. Per portare avanti l’attività, si affidò all’aiuto di un giovane talento messinese, Giuseppe De Maria, soprannominato “Don Pippo”. È nel 1952 che la fortuna aiuta gli audaci durante un banchetto nuziale. Era terminato il gelato sfuso da offrire agli ospiti ma Don Pippo non si perse d’animo e improvvisò un dessert: una porzione di gelato alla nocciola sovrapposta al gelato al cioccolato con cioccolato fuso all’interno modellata a mano. Il risultato fu un tale successo che il dolce divenne la specialità della gelateria dove Giorgio Di Iorgi e Gaetano Di Iorgi iniziarono la loro carriera come camerieri imparando l’arte della produzione del gelato. Quando nel 1965, dopo il pensionamento di Don Pippo, Giorgio rilevò la Gelateria Dante, Gaetano, insieme al fratello Antonio, proseguì la tradizione del tartufo di Pizzo nell’attività “Bar Ercole” da loro acquisita. E il resto è storia. Una storia che racconta posti in piedi davanti alle gelaterie per aspettare un tavolino e affogare in un tartufo o nelle recenti versioni rivisitate, tipo le coppe tartufate, ovvero: tartufi – plurale – scomposti e sovrapposti e coperti di panna e cioccolato fuso. La tradizione, poi, sa anche mettersi al passo con i tempi e la maggior parte delle attività è pronta al take-away che ti salva la fila e le voglie con un tartufo da portar via e mangiare accanto al collezionista di venti, di cui sopra.

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Meraviglie di Calabria senza etichetta ma comunque tutelate. Il Tartufo di Pizzo, infatti, è inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali che comprende quei prodotti tipici di elevata qualità e valore culturale che rappresentano la tradizione agroalimentare italiana. Inoltre, esiste il Marchio Collettivo “Tartufo di Pizzo”, registrato nel 1989, che può essere utilizzato solo dalle gelaterie artigianali ubicate nel comune di Pizzo Calabro che producono il gelato secondo un disciplinare di produzione specifico. Ed è proprio il disciplinare a stabilire gli ingredienti da utilizzare, il metodo di produzione e le caratteristiche organolettiche del tartufo di Pizzo per garantire ai consumatori l’autenticità e la qualità del prodotto, tutelando la tradizione e il legame con il territorio di Pizzo Calabro.

Non resta che salire in auto, trovare su Google Maps la provincia di Vibo Valentia, godersi dal finestrino la Costa Viola che scorre ad un centinaio di chilometri orari, parcheggiare “sopra” o “sotto” e ordinare un tartufo: l’estate non ha mai avuto un sapore così buono.
Rachele Grandinetti

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