Sul trattore ero il più felice del mondo
di Rachele Grandinetti
Anni Sessanta, ci sono due bambini che scorrazzano insieme al papà in giro per i campi. Sono appena usciti da scuola e invece di starsene nella piazzetta di Soverato insieme ai compagni preferiscono lanciare zaini e grembiuli e prendersi cura della terra. Sono Francesco e Giuseppe, i fratelli Migliarese che oggi tengono le redini di un’azienda che coltiva, trasforma e commercializza i profumi più belli di Calabria. Nel Golfo di Squillace (siamo in provincia di Catanzaro), Azienda Agricola Migliarese si estende per 30 ettari baciata dal sole delle prime luci dell’alba e lambita dal mar Ionio (gli oliveti e la produzione orticola ringraziano), è certificata bio e il lato conserve ha visto riconoscersi pure la certificazione “International Food Standard”, una sorta di patente che consente l’accesso a importanti mercati nazionali ed internazionali. Migliarese produce conserve di pomodoro, marmellate, confetture, olio e altre specialità, dai succhi ai paté, dalle spezie ai sottoli alle polveri.
C’è chi da piccolo sogna una scrivania, un’agenda piena e una 24 ore e chi, da grande, non vede l’ora di tornare a fare quello che faceva da piccolo per lasciarsi l’ufficio alle spalle e sporcarsi ancora mani e magliette con la terra. «A bordo del trattore ero il più felice del mondo», mi racconta Francesco riavvolgendo il nastro sull’azienda di famiglia e sul suo percorso. Non ha mai avuto dubbi sul futuro: il passato avrebbe continuato a vivere attraverso il suo lavoro. È per questo che ha studiato Agraria a Firenze e la scelta di un ateneo fuori sede, allora, non fu affatto casuale: a due passi da casa il richiamo della terra sarebbe stato così forte da distrarlo e impedirgli di portare a termine gli studi. Invece, lontano dagli occhi – ma mai dal cuore – ha conseguito la laurea e fatto il biglietto per tornare a casa dove già il fratello aveva iniziato a occuparsi degli affari di famiglia. Adesso cura l’amministrazione e il settore di ricerca e sviluppo nel reparto conserve; il fratello, invece, si occupa dell’azienda agricola e del punto vendita aziendale.
L’eredità di nostro padre
Loro sono la terza generazione perché già il nonno Giuseppe era un agricoltore: aveva il carro con i buoi e la moglie si dedicava alla campagna. Ma è con il figlio Bruno che questa realtà inizia a prendere la forma di un’azienda e oggi di un’impresa modello sul territorio perché lavora in modo etico, nel pieno rispetto della terra e perché è cresciuta al punto da impiegare circa 40 persone.
Ispirazione, è la parola che mi viene in mente parlando con Francesco: tra calabresi è facile scivolare sui discorsi del “qui non funziona mai niente”. Basterebbe uno specchio, però, guardarsi e chiedersi: ma noi cosa facciamo davvero per casa nostra? Mi piace pensare che i fratelli Migliarese abbiano avuto uno specchio gigante in casa o forse sarà bastato specchiarsi negli occhi del papà e trovarci tutta quella dedizione che poi è diventata quasi una missione: «Ci piangiamo spesso addosso perché qui non c’è niente da fare. Certo, c’è chi è costretto ad andare via per cause di forza maggiore. Ma chi ha l’opportunità di scegliere? Ho sempre creduto in questa cosa, soprattutto continuo a credere che non si possa aspettare che venga qualcuno da fuori a fare qualcosa per noi. Io avevo già uno strumento in mano, eredità di mio padre, non lo avrei mai gettato via per fare l’impiegato a Milano».
Aveva uno strumento, così ha iniziato a comporre. La terra era il suo spartito e, a quattro mani col fratello, è (ri)cominciato tutto. Nel ’99 realizzano il frantoio oleario dove trasformano le olive e imbottigliano; nel 2010 adibiscono la struttura di conservazione dell’ortofrutta nata, inizialmente, per trasformare il surplus dell’azienda agricola. Non si butta via niente, insomma!
Bio is better
Adesso immaginiamo: ogni materia prima ha una sua stagionalità e Migliarese lavora nel rispetto dei cicli della natura. Cosa vuol dire? «Significa che non ci fermiamo mai», ammette Francesco. L’azienda è no stop. È un duro lavoro e “qualcuno dovrà pur farlo” però quanta soddisfazione poi quando un cliente ti dice: «Ha il sapore delle fragole di mia nonna!».
Il prodotto di punta dell’anno è certamente la polpa di pomodoro: un blend di passata con l’aggiunta di pelati triturati, talmente top per la base pizza che pizzerie pluripremiate in Calabria e in Italia ci hanno puntato. E Migliarese ha finito le riserve. La consuma pure Francesco a casa sua (ovviamente!), anche se il suo must have è la composta di cipolle di Tropea: «Ormai non riesco più a mangiare un formaggio senza spalmarci un cucchiaino sopra».
I succhi e le marmellate contengono zucchero d’uva (lo sapevi che è l’unico zucchero bio prodotto in Italia? Se ti stai interrogando su quello di canna, sappi che può essere sì bio ma non prodotto nel Belpaese). È una scelta di responsabilità che guarda alla salute e al futuro, anche a quello dei figli. Francesco ha due bimbi e due nipoti (i figli del fratello Giuseppe) e pare già che il quartetto abbia intenzione di seguire le orme paterne. «Il mio secondo figlio frequenta la scuola materna e l’altro giorno la maestra ci ha mostrato un video. Avevano intervistato i bambini chiedendo cosa amano fare più di tutto e lui ha risposto “andare al lavoro con papà!”». Quando l’ufficio è chiuso Francesco li porta con sé in azienda. E funziona. L’ho capito dalla sua foto profilo Whatsapp dove si vedono i piccoli con una zappetta in mano: «Nel giardino della casa in paese giocano a lavorare la terra», racconta il papà. È orgoglioso, perché sa che un clima familiare positivo, a cominciare dal bellissimo rapporto che ha sempre avuto con il fratello, alla fine non può che dare buoni frutti, in mezzo ai campi e tra le mura domestiche. I figli di Giuseppe sono studenti universitari e già scalpitano per rimettere piede in azienda.
Migliarese è una tradizione di padre in figlio, una storia che sembra appartenere ad un tempo lontano e, invece, sta per ripetersi, ancora. Pare che la mela non cada mai troppo lontana dall’albero: sarà che quando si crede fortemente nelle radici, i frutti non possono che essere pieni d’amore, per la famiglia e per la terra.