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Sui nomi dei paesi di Calabria: come si chiamavano i luoghi

Sui nomi dei paesi di Calabria: come si chiamavano i luoghi

Sei di Monteleone Calabro o di Vibo Valentia? E quanti territori in “Albanese” si riescono a contare nella nostra regione? Hai mai sentito parlare della frazione di Porcile? No?  È diventato Eianina, denominazione decisamente più delicata.  I nomi dei paesi calabresi, hanno tutti una loro storia che può corrispondere ad una designazione d’identità geografica, storica o semplicemente simbolica.  L’Associazione Culturale Mistery Hunters ha aperto una curiosa parentesi nell’universo della toponomastica calabrese, sfogliando qualche pagina del libro “Controstoria delle Calabrie” di Ulderico Nisticò. Ha così proposto una digressione social che svela la natura dei nomi dei paesi calabresi e di qualche loro storico adattamento:  

“Subito dopo l’unificazione del 1861 ci si accorse che, in tutto lo Stato, troppe località avevano nomi uguali o simili o facilmente confondibili. Il governo impose di individuare denominazioni identitarie. Quasi tutti i Comuni si contentarono di aggiungersi qualche epiteto, altri lasciarono campo alla fantasia, in altri trionfarono le più ardite e strambe teorie. Diamo qui, con schematica brevità e qualche commento, notizia di quanto accade in Calabria, a cominciare dal Regio Decreto del 26 marzo 1863, che dava riconoscimento alle proposte dei Consigli comunali interessati. I più si giovarono della geografia. Ed ecco i “Calabra” o “Calabro” Aiello, Bagnara, Belmonte, Corigliano, Monteleone, Monterosso, Pizzo, Soriano; Cerchiara preferì “di Calabria”; Fiumefreddo si disse Bruzio. Ma Monteleone Calabro tornò il romano Vibo Valentia.

Cassano, Gioiosa, Isca, Montebello, Roccella, Rossano, S. Andrea, S. Caterina, S. Ilario, S. Vito fecero ricorso alla posizione sullo Ionio (o sul Ionio, secondo le diverse fonetiche). Falconara, Macchia, S. Caterina, S. Giorgio, Spezzano si dissero “Albanese”, e S. Benedetto si aggiunse Ullano. Rota preferì il più filologico Greca. Ma Porcile, a buon diritto, rifiutò il fetido nome, e si ribattezzò Eianina. Casino, come no, si chiamò Castelsilano.

Con altri accenni alla geografia, ecco Belvedere Marittimo, Caraffa di Catanzaro e Caraffa del Bianco, Francavilla Angitola, Isola Capo Rizzuto, Roseto Capo Spulico, S. Agata del Bianco e S. Agata d’Esaro, S. Cristina d’Aspromonte, S. Eufemia d’Aspromonte, S. Ferdinando di Rosarno (oggi nuovamente solo S. Ferdinando), S. Giovanni di Gerace, S. Lorenzo del Vallo, S. Mauro Marchesato, S. Pietro a Maida, S. Pietro d’Amantea, S. Pietro Magisano, S. Stefano d’Aspromonte, Serra d’Aiello, Terranova di Sibari.

Non erano tempi di troppo rispetto per la religione, se mai il contrario: ma fecero appello ai santi Serra S. Bruno, Sorbo S. Basile, S. Pietro Apostolo, S. Pier Fedele, S. Pietro di Caridà. Al contrario, S. Elia preferì il laico e scontato Vallefiorita. Dalle fusioni tra centri vicini presero nome, in tempi diversi, Belvedere Spinello, Simeri Crichi, Soveria Mannelli; infine, da Nicastro, Sambiase e S. Eufemia Lamezia, fecero Lamezia Terme. Molti ricorsero alle storie, con minore o maggiore ragione ad attribuirsi antichità e glorie: Bruzzano (allora scrivevano Brussano) si ricordò del promontorio Zeffirio; Gioia, di Taureana, e si disse Tauro; Guardia che si chiamava da sempre dei Lombardi, preferì, con maggiore esattezza Piemontese; Laureana si appellò di Borello da una città medioevale; Roggiano si ricordò del suo Gian Vincenzo Gravina; S. Gregorio si disse erede di Ipponion, e d’Ippona; S. Mango ebbe memoria dei feudatari d’Aquino; Torre, del conte Ruggero. Alcune identificazioni furono fantasiose, o decisamente arbitrarie: S. Giorgio volle essere la sede del mitico re Morgete, divenendo però Morgeto; Castelvetere, con furia sospetta, rinunciò all’antico nome glorioso a Lepanto, e si arrogò Caulonia che invece è Monasterace Marina; Montalto pretese l’enotria Uffugum; Oppido, Mamertum; S. Marco, Argentanum; Policastro, Petelia. Un’altra S. Nicola si ricordò di una ellenica Crissa. Fu per le stesse ragioni di classicismo che Cotrone tornò Crotone e Gerace Inferiore, si chiamò Locri: così Gerace Superiore tornò semplicemente Gerace. Chiaravalle si disse, burocraticamente, Centrale.

Per misteriose vie, Pietramala si attribuì la cauloniese Clete, facendone però il maschile Cleto. Solo in Calabria può “parere brutto” un nome come Pietramala, che altrove si terrebbero caro, non fosse altro che per spaventare i malintenzionati!

info@meravigliedicalabria.it

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