“Sentiero dell’Inglese”, cammino nella Calabria grecanica

«Il nome di Calabria in se stesso ha non poco di romantico». Pensieri e parole di un viaggiatore versatile: l’inglese Edward Lear. Il suo viaggio alla scoperta dei luoghi poco conosciuti della provincia reggina parte il 25 luglio 1847, insieme all’amico Proby. Il 5 settembre dello stesso anno, dalla nave, Lear saluterà i calabresi rimasti nel cuore, con le lacrime agli occhi ammirerà per l’ultima volta i meravigliosi paesaggi di una natura incontaminata. L’esperienza calabrese del viaggiatore inglese ha ispirato gli organizzatori del “Sentiero dell’inglese“, oggi proposto con un soggiorno itinerante nel cuore della Calabria grecanica, nel Parco dell’Aspromonte.
Dalla fiumara dell’Amendolea alla scoperta della Calabria grecanica
Nell’area del Parco Nazionale dell’Aspromonte tutto è veramente maestoso e suggestivo, persino una frana. Quella di cui parliamo oggi si è sviluppata nel territorio del comune di Roccaforte del Greco, antico borgo fondato da coloni della Magna Grecia che pensarono bene, per difendersi dalle incursioni delle popolazioni barbare, di ritirarsi dalla costa del mar Jonio o dalle rive della fiumara Amendolea verso le inaccessibili montagne. Tra le zone interne e la costa, si cammina per giorni tra rocce, burroni, boschi e vallate, insieme alle guide della cooperativa Naturaliter percorriamo 88 chilometri partendo dalla fiumara della Amendolea. Secondo la tradizione, questo corso d’acqua delimitava il confine delle polis magnogreche di Reggio e Locri, il leggendario luogo dove Ercole interruppe il suo sonno pomeridiano per il troppo frinire delle cicale.

L’Amendolea rappresenta l’emblema dell’area greco calabra e il cuore delle ultime roccaforti della lingua e della cultura ellenofona. La fiumara nasce tra le gole e i dirupi dell’Aspromonte per aprirsi poi lungo i pendii, scavalcando le zone più scoscese. Da qui, parte il cammino. Che da Condofuri conduce – in poco più di 3 ore – a Gallicianò: l’unico borgo, interamente ellenofono, dove tutti parlano il “greco calabrese”. Si attraversa un sentiero composto da curve e strapiombi, si arriva alle prime case. Qui, il tempo sembra essersi davvero fermato. I pochi abitanti sono riusciti a conservare intatte le tradizioni culturali, artigianali e musicali: usi e costumi forti come lo spirito dei greci di Calabria, fieri e ospitali.
Gallicianò, «il senso dell’ospitalità»
Per meglio comprendere usi e costumi di Gallicianò, è necessaria visitare il Museo Etnografico e la Chiesa ortodossa. Nel 1999 è stata aperta al culto, la piccola chiesa ortodossa di Panaghia, la Madonna dei greci. La chiesetta rappresenta la testimonianza, in un rinnovato clima ecumenico, di un ritorno da pellegrini degli ortodossi in siti d’antichissimo culto greco. Il Museo Etnografico, invece, è dedicato ad Angela Bogasari Merianoù: filosofa greca giunta a Gallicianò, negli anni ’70. Qui incontriamo Micali, giunto nel piccolo borgo direttamente da Salonicco. «Ho deciso di viaggiare per conoscere queste persone che parlano una specie di greco, per vedere i costumi. Il loro accento è un po’ strano, spesso mettono l’accento in una sillaba più avanti ma è quasi perfetto». Il piccolissimo centro abitato è animato da un religiosissimo senso dell’ospitalità come sottolinea uno dei simboli di Gallicianò, Raffaele Rodà. «Non ci siamo inventati niente, abbiamo ripreso le tradizioni di una volta. Ospitiamo circa 6.000-7000 turisti ogni anno e non vengono solamente i calabresi, ma viaggiatori da ogni parte del mondo: Alaska, Miami Beach, Brisbane, Cina, Giappone. Arrivano qui perché abbiamo il senso dell’ospitalità».






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Condofuri, a spasso tra le coltivazioni di Bergamotto
Con il sorriso di Raffaele Rodà, si chiude la visita a Gallicianò e con un pizzico di malinconia riprende il viaggio. Prossima tappa Condofuri. E’ Ugo Sergi, avvocato e ristoratore, a narrarci le bellezze di un luogo immerso nella coltivazione del Bergamotto. «Ho lasciato la carriera forense per dedicarmi ad una grande passione, quella per il mio territorio. La gente è scappata dalla montagna e adesso mi auguro che voglia tornare». Chi avrebbe sicuramente fatto ritorno è Edward Lear. Le sue memorie, i disegni, gli appunti sono custoditi in un diario che ancora oggi resta una delle letture più apprezzate.




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Bova, il castello normanno e la locomotiva Ansaldo Breda
Chilometro dopo chilometro, il cammino volge al termine. Ultima tappa è Bova, uno dei borghi più belli d’Italia. L’unico borgo del versante meridionale ancora abitato, un paesino arroccato alle pendici dell’Aspromonte e in mezzo a vaste distese di bergamotto. Le prime testimonianze storicamente documentate sull’esistenza di Bova risalgono ai primi anni del secondo millennio, quando tra il 1040 e 1064 i normanni si imposero su Arabi e Bizantini nella dominazione della Sicilia e della Calabria. Nella piazza principale campeggia un simbolo dell’emigrazione: la locomotiva 740 Ansaldo Breda, la vaporiera più rappresentativa delle Ferrovie dello Stato. Dal centro del piccolo comune aspromontano decidiamo di raggiungere il castello normanno. Arrivare in cima richiede fatica, ma raggiunti i ruderi, il panorama è mozzafiato. La croce normanna domina la vallata e lo straordinario centro storico. Concedetevi qualche minuto per riprendere fiato e godere di un surreale e piacevole silenzio. «Girando attorno si guarda il mare distante e le colline ondulate, nessun contrasto può essere più rimarchevole».





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di Fabio Benincasa