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Riflessioni sul Festival delle Serre, il borgo e…Pavese

Riflessioni sul Festival delle Serre, il borgo e…Pavese

Siamo a Cerisano, centro della provincia di Cosenza con lo sguardo ambivalente, da un lato l’orizzonte e la destinazione possibile è la città dei bruzi, dall’altro occhieggia invece alla Sila con tutto il suo patrimonio di bellezze naturalistiche ed ambientali.

Per il centro abitato, invece, si potrebbero richiamare alla mente i versi di Cesare Pavese che nella sua “La luna e i falò” fornì una descrizione mirabile dell’impasto di emozioni e sensazioni che possono legare una persona al suo luogo natio. «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti».

A Cerisano questa sensazione, arricchita dalla responsabilità di un ambiente bellissimo ed impegnativo, è forte e nitida. Come lo è, ad esempio, il legame che questo borgo coltiva con Palazzo Sersale: un tempo centro di controllo e gestione del feudo, oggi residenza artistica che ospita alcuni degli eventi culturali del Festival delle Serre giunto alla 30esima edizione. Un’annata storica impreziosita dalla musica, dal cinema e dal teatro, ma anche da una serie di talk che consentono di riflettere, soffermarsi sui dettagli di racconti e narrazioni che hanno evidentemente segnato la storia di Italia o di fenomeni come quello dello spopolamento, che alimentano dibattiti e gettano ombre sul futuro dei piccoli centri calabresi. Ragionare insieme godendo della straordinaria bellezza del borgo, questo il percorso tracciato dal sindaco di Cerisano Lucio Di Gioia. «È un piacere ospitare personalità importanti del mondo politico, docenti universitari, uomini e donne impegnati costantemente nel sociale e nel microcosmo culturale. Nuove idee amministrative possono nascere, utili per la collettività».

Tra “resistenza” e “restanza”

Quello impresso dal primo cittadino di Cerisano è un new deal frutto di un lavoro certosino, coinvolge tutti: attori, musicisti, giornalisti, scrittori e autori. Accompagnati – quasi per mano – in un viaggio alla scoperta di un paese da visitare e raccontare. D’altronde come sostiene Gioacchino Criaco: «Conoscere davvero un posto significa conoscere un popolo, la sua cultura, e da lì progettare il futuro. La conoscenza serve per produrre e non per consolare».

Quest’anno gli organizzatori del Festival delle Serre hanno così deciso di inserire, in un cartellone ricco di eventi, anche alcuni dibattiti partendo dal “Caso Moro”. Claudio Signorile, ex vicesegretario del Psi, ripercorre lucidamente la vita e la morte del leader della Dc. A Palazzo Sersale, le sedie sono tutte occupate e in tanti in piedi affollano la sala. D’altro canto, il sequestro di Aldo Moro è ancora pieno di ombre e interrogativi rimasti inevasi, il delitto segnò per sempre la storia della politica italiana. Nel suo libro, presentato a Cerisano, Signorile sottolinea: «La cosa che noi riteniamo importante non è più chi ha ucciso Moro, ma perché. Mi permetto di azzardare un’ipotesi: è stato ucciso perché si stava compiendo l’utopia del compromesso storico». La chiosa di Signorile è netta: «Dinanzi alla possibile liberazione, la risposta è stata il rifiuto, le conseguenze sono state l’assassinio».

Il testo di Signorile è un manuale di resistenza dinanzi ad una verità sottaciuta. Gli anni del sequestro Moro non paiono poi così lontani, l’Italia vive oggi come allora «un momento difficile» come ha avuto modo di sostenere l’ex presidente della Commissione antimafia, Giuseppe Lumia, protagonista di un dibattito ospitato nella piazzetta del Carmine e impreziosito dalle considerazioni della prorettrice dell’Unical, Patrizia Piro e del professore Giancarlo Costabile docente di Pedagogia dell’Antimafia all’UniCal. Illuminante il suo intervento con riferimento alla forza e pervasività della ‘ndrangheta. «Siamo al controllo politico del voto, alla scelta della clientela, al voto di scambio come pedagogia della relazione: abbiamo superato il concetto di infiltrazione. Questa è occupazione». Il docente suggerisce un antidoto. «Occorre recuperare il senso di comunità, dobbiamo fare della cultura qualcosa di trasformativo. Dobbiamo riprenderci spazi di libertà e di agibilità, per non essere costretti a camminare inginocchiati». Il messaggio di Costabile si sposa con la mission del sindaco Lucio di Gioia, ovvero portare la cultura tra la gente. Come il passionale docente, il primo cittadino è profondo conoscitore del termine “resistenza”, sinonimo di tenacia, quella che anima chi si trova stretto tra la necessità di amministrare facendo quotidianamente i conti con lo spopolamento e l’impegno costante per dare spazio alla Cerisano futura.

La Calabria è perduta? Resterà sempre «la parte più estrema dell’Italia estrema» come scrive il professore Domenico Cersosimo? Interrogativi a cui è difficile dare una risposta, ma attorno ai quali è possibile ragionare. Una chiave di lettura è stata suggerita nel dibattito con protagonista, tra gli altri, Vincenzo Fortunato docente Unical e direttore della Scuola Superiore di Scienze delle amministrazioni pubbliche. «Quando parliamo di Mezzogiorno, parliamo di una pluralità di universi molto distanti. Anche all’interno della stessa Calabria possiamo parlare di eterogeneità dei contesti con province più sviluppate di altre, con alcune che hanno anche una geografia e una storia diversa». I gap aumentano, le disuguaglianze pure ed «abbiamo bisogno di buone politiche, di una classe dirigente avveduta che sappia prendere le giuste decisioni». La mancanza di una strategia lungimirante tesa a garantire i livelli minimi di servizi ha finito per penalizzare i borghi, determinando la fuga e lo spopolamento delle aree interne. Quella che viviamo oggi è a tutti gli effetti una modernità passiva. Ma non tutto è perduto. Ci sono comunità, come quella di Cerisano, che mantengono forte il legame con il territorio, animato da eventi e caratterizzato da ampi spazi di condivisione. Una risorsa da utilizzare e valorizzare per non rassegnarsi ad una «vita rarefatta».

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