Quella croce di legno su Monte Botte Donato

di Felice Foresta
Ne sono certo.
Domani, nel diario dei ricordi, troverò un capitolo senza nome.
È il capitolo del dove.
Non mi chiederò perché.
E non mi chiederò neppure quanto.
Non mi chiederò perché e quanto sia stato felice.


Le nostre esistenze sono un quotidiano interrogativo irrisolto che dobbiamo scoprire e superare da soli per condividere con gli altri le risposte.
Siano incanto o piaghe.
Le nostre esistenze non si misurano in peso o in volume.
Contano i brividi e i sorrisi.
E le nostre mani, non quello che ci teniamo.
Mi chiederò, allora, dove sono stato felice.
E, allora, correrò con la mente tra le campagne del crotonese, tra le mie vacche e le mie capre, le scale del Liceo, i respiri dei miei figli, un balcone soleggiato di Caulonia e un camino di San Luca, la Sila e l’Aspromonte, tra i tetti di Fabrizia e i versi della poesia che non ho scritto, tra le pagine di Alvaro e quelle della Teda.


E tornerò tra gli spigoli di ricotta e bergamotto che costeggiano una pianura dove si parla una lingua creola.
E guarderò il mio mare da una collina dove un faro si fa lanterna da Monasterace a Capo Spartivento.
E penserò a quel pomeriggio di pioggia e seta che ho trascorso tra le braccia di una ladra di libri, tra una musica che era preghiera e timpa, e un cunto immortale nascosto sotto il berretto di un cercatore di pietre e anime.
E rincorrerò le parole che dalla periferia del mondo si sono fatte storia.
E ricorderò quella croce di legno, a Botte Donato, dove ho appeso le preghiere che non so pregare per far riposare le mie inquietudini, e ringraziare la mia terra e farla santa.
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