Nostalgia e meraviglia tra le mura di Cosenza Vecchia [FOTO]
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Passeggiare tra i suoi vicoli stretti (a volte fin troppo stretti quando sbagli strada e hai bisogno di fare manovra con la macchina!) è un tuffo nel passato: perché è vero che la città vecchia, ormai, non è più abitata come un tempo, ma basta chiudere gli occhi per essere catapultati in un’altra dimensione, quando questo lato di Consentia era il cuore culturale e politico pulsante, quando corso Telesio si chiamava via dei Mercanti perché ospitava le botteghe che vendevano, soprattutto, lana e seta. Il nostro territorio, infatti, è sempre stato famoso per la lavorazione della seta grezza grazie alla presenza di bachi da seta, filande e piante di gelso.
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Ci sono tanti slarghi che hanno preso il nome del mercato che vi si teneva: piazza delle Uova e piazza dei Pesci ne sono un esempio. Il corso oggi ha il nome del filosofo Bernardino, la cui statua campeggia in piazza XV Marzo davanti al Teatro Rendano con non poche polemiche circa il suo “orientamento”: con le spalle al teatro, simbolo di cultura, ma rivolto verso il Palazzo della Provincia che, invece, simboleggia il potere e, filosofeggiando in senso lato, la corruzione.
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La piazza, su cui caminare in punta di piedi per scongiurare che un tacco si incastri tra i sampietrini, è a furor di popolo uno dei luoghi più belli della città con il teatro Alfonso Rendano, dedicato al celebre pianista e compositore cosentino. Fu inaugurato nel 1871 e rappresenta un vero gioiello dell’architettura neoclassica e un riferimento per la cultura calabrese: la facciata monumentale con colonne e statue, l’interno decorato con stucchi e dorature, pavimenti in marmo e grandi lampadari, il sipario storico disegnato da Domenico Morelli ed eseguito dal napoletano Paolo Vetri nel 1901, e che si conserva ancora oggi, illustra il festoso arrivo a Cosenza, nel 1433, di Luigi III d’Angiò, duca di Calabria e della sua giovane sposa Margherita di Savoia. Con i suoi 802 posti, nel 1909 – con la rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi, eseguita dalla compagnia Corsi-Bruno-Areson-Minolfi, e accompagnata dall’orchestra diretta dal Maestro Perosio – il Teatro Comunale (o Massimo) apre le sue porte alla città tra polemiche e disapprovazioni per il costoso sfarzo della soirée e le eleganti toilettes delle signore e signorine dell’alta borghesia e dell’aristocrazia cittadina.
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Accanto al teatro, la Villa Vecchia, un’oasi di verde su diversi livelli collegati da sentieri e scalinate, regala scorci panoramici sulla città e sul fiume Crati. Le origini di Villa Vecchia risalgono al Seicento, quando era annessa all’ex monastero di Santa Maria di Costantinopoli. Nel corso dei secoli, il parco ha subito diverse modifiche, assumendo l’attuale configurazione ottocentesca. Oggi, Villa Vecchia conserva ancora alcune testimonianze del suo passato, come la Fontana dei Delfini e la Grotta di San Francesco.
Ma la vera magia del centro storico si respira nei vicoletti che si perdono in mezzo ai palazzi antichi, dove si stagliano scalinate che portano ad altri vicoletti e altre dimore che chiamarle piene di fascino non basterebbe. Da una, in particolare, esce un albero di fico, letteralmente dalle sue mura, motivo per cui questo posticino nascosto è stato ribattezzato “la ficuzza“.
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È una tappa imperdibile. Ma ce ne sono altre due obbligatorie: il Duomo di Santa Maria Assunta (per noi “il Duomo di Cosenza”), eretto a partire dalla seconda metà dell’XI secolo, è un imponente complesso architettonico che domina il panorama cittadino, rappresentando uno dei più importanti monumenti della Calabria, custodisce numerosi tesori artistici e spirituali. È qui che il 12 febbraio si celebra la Madonna del Pilerio, protettrice della città. Proprio a due passi, poi, lo storico Caffè Renzelli, uno dei posti più identificativi della città, è un luogo d’incontro da 7 generazioni: era il 1803 quando aprì le porte come sorbetteria dedicandosi, sin da allora, all’arte dolciaria di qualità (spoiler: entra e chiedi la “varchiglia cosentina“).
Si parla di Cosenza Vecchia e non si fa altro che lamentarne lo stato di abbandono. È certamente vero: la parte antica non è abitata come un tempo e, ahinoi, troppe attività hanno abbassato la saracinesca. Così, se nei primi anni Duemila il sabato sera il mood era “ci vediamo davanti al Duomo” e la piazza diventava uno stuolo di giovani che trascorrevano le serate sulle scalinate della chiesa madre e in giro per qualche locale, oggi il popolo della notte si è riversato sulla città nuova. Ma la parte antica continua ad essere per tutti i cosentini un luogo del cuore. Salire su per corso Telesio fino al teatro è una passeggiata che sorprende ogni volta perché ogni volta ti troverai a sbirciare dalla vetrina del liutaio e del lanificio e ogni volta ti sembrerà una sorpresa. “Che peccato Cosenza Vecchia” è un leitmotiv di nostalgia, qualche rimpianto e un po’ di rabbia ma è sempre il verso che poi lascia il passo a “ma quanto è bella Cosenza Vecchia”?
(Foto: Celeste Carratta)