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Lungo la Ciclovia dei Parchi della Calabria e immersi nella secolarità del Pino Silano

Lungo la Ciclovia dei Parchi della Calabria e immersi nella secolarità del Pino Silano

Quello della Ciclovia dei Parchi della Calabria è un itinerario immersivo indiscutibilmente definito non da uno, ma più osservatori privilegiati che si dipanano lungo 545 chilometri. Qui la chiave di lettura del territorio montano calabrese gira nel verso della pluralità e offre una prospettiva assai ampia e diversificata. Il privilegio per eccellenza resta sempre quello della natura sì, ma di riflesso e spontaneo è l’addentrarsi nei contesti che diventano anche storici, culturali e di tradizione, e dove spesso non sfugge il racconto di miti e leggende che rendono i luoghi ancora più suggestivi. È per questo che andare in bicicletta lungo questo percorso ciclabile è esperienza sempre inedita. Un suggerimento social è quello di un focus che la Ciclovia dei Parchi Calabria apre nel Parco Nazionale della Sila, dove dimora il Pino Laricio, o Pino silano.

Si parte dalla storia: “questi alberi – si legge nella pagina social- sono stati oggetto nel corso dei millenni di un dissennato sfruttamento che in alcuni casi ha portato alla perdita di grandi aree di pinete primigenie. Il Pino laricio riveste notevole importanza per la storia delle civiltà del mediterraneo. Infatti questa pianta è stata molto utilizzata dalle antiche popolazioni come, ad esempio, quelle dei Brutii o dei Brettii che, già sottomessi ai romani, estraevano e utilizzavano la pece, una resina molto profumata.  La ‘pece bruzia’ era molto apprezzata anche dal popolo greco, tanto che Strabone scrisse che “la Sila produce la pece migliore che si conosca, detta pece bruzia…”. I romani sfruttarono il Pino laricio sia per il legname con cui realizzavano travature e navi sia per la pece che veniva utilizzata per impregnare le navi delle loro flotte. Il legno del Pino laricio servì anche per costruire i solai della Basilicata di San Pietro a Roma, per la costruzione della Reggia di Caserta fino ai piloni di Piazza San Marco a Venezia. La resina, invece, estratta nell’arco di millenni attraverso incisioni a spina di pesce praticate sul tronco degli alberi è stata molto utilizzata per le sue proprietà medicinali, ad esempio, per l’immobilizzazione delle fratture, come rimedio contro le mani screpolate o per lenire i dolori allo stomaco, per usi veterinari, in enologia, in cucina. Dal legno si estraeva, inoltre, un olio per curare le piaghe.

La pece calda veniva utilizzata, invece, per il suo effetto analgesico applicata su tempie, contusioni.  In alcune aree della Sila dal legno di Pino laricio si otteneva il colore giallo, mentre tagliato a strisce sottili veniva utilizzato per la costruzione di oggetti di intreccio come panieri e cesti”.  

Il mestiere della tradizione: “Durante il Medioevo lo sfruttamento dei Pini della Sila divenne prerogativa del demanio regio che deteneva la proprietà sui pini della Sila, lo “jus Picis” e la “prestazione per diritto di incisione di carlini dieci a cantajo della pece bianca e carlini cinque a cantajo della pece nera”. Nacque, così, il mestiere del “piciaro” che in autunno cominciava ad incidere i tronchi di pino i quali, con la primavera, rilasciavano dalle incisioni la trementina liquida che a contatto con l’aria si rapprendeva. Veniva raccolta per tutta l’estate, riscaldata in una caldaia di rame (caccavo) e distillata, ottenendo così la pece bianca. La pece nera si otteneva, invece, con un procedimento diverso che prevedeva l’innalzamento di cataste di legna (simile a quelle per ottenere i carboni) e in questi ‘forni’ il legno di pino veniva cotto insieme ad altri residui resinosi della pece bianca e di altre sostanze. Infine, dalle radici dei tronchi di pini morti si estraeva la ‘deda’ (teda) ovvero pezzi di legno resinoso che, ridotto a scaglie, serviva per accendere il fuoco”.

info@meravigliedicalabria.it

pigna01 - Meraviglie di Calabria - 12
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