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Le visioni oniriche della Calabria nelle opere di Theodore Brenson

Le visioni oniriche della Calabria nelle opere di Theodore Brenson

di Roberto De Santo

«Avanti all’anima mia si è aperto un mondo nuovo, dove l’uomo non è più isolato sulla terra, ma dove terra e uomo formano un insieme così intimo, così unito nella luminosità dell’atmosfera che quasi non sembra reale». Così descrisse il suo viaggio l’artista lettone Theodore Brenson che nell’estate del 1928 girovagò per circa tre mesi tra le principali località calabresi.


Una descrizione meravigliosa che il fine disegnato – con solide basi in architettura ed una robusta preparazione maturata prima nella Scuola d’arte di Riga (città dove nacque nel 1893) e poi all’Accademia Imperiale di Belle Arti di San Pietroburgo, alle Università di Mosca e di Riga – narra in una lettera inviata all’intellettuale calabrese Luigi Parpagliolo. A lui scrisse che venne in Italia per «trovarvi una grande forma costruita armoniosa e spirituale ed ho trovato molto più».

La raccolta del 1929

E quella percezione quasi onirica dei paesaggi si ritrova nelle sue opere disegnate in carboncino, seppia e acquarello. Nel suo peregrinare tra siti architettonici, borghi antichi, sentieri e litorali della regione, Brenson ritrasse un centinaio di località. Le migliori delle sue opere furono riprodotte e raccolte in un volume edito nel 1929 “Visioni di Calabria”. Un titolo che restituisce in pieno quel che si percepisce osservando i suoi disegni.


Nella raccolta, edita a Firenze da Vallecchi e arricchita da un breve saggio “La Calabria nella storia e nell’arte” proprio di Luigi Parpagliolo, ci sono custodite 50 immagini filtrate poeticamente dall’artista lettone. Visioni, appunto, di quella Calabria dell’inizio del cupo ventennio in cui era precipitata l’Italia e di cui forse ancora questa terra era rimasta immune. Lontana e periferica dagli squadrismi beceri.
Brenson si rifugia in questa terra per sfuggire dal pensiero dominante e ne rimane folgorato – come rivelerà all’amico Parpagliolo – tanto da sentire una sorta di missione: far conoscere la Calabria al mondo intero attraverso i suoi disegni.

Un furore artistico lo colse attraversando quei luoghi per certi versi ancora sconosciuti ai più. Tanto da lavorare per intere giornate in quella torrida estate del 1928. Un tormento poetico che lo spinse non con poche difficoltà – viste le condizioni dei collegamenti di quell’epoca – ad inoltrarsi su vette e sentieri poco battuti.
Ritrasse panorami, scorci unici, particolari dei borghi o di singoli monumentali costruzioni – da castelli a chiese – girando il lungo e largo la regione.

I ritratti

Da una costa all’altra delineò i contorni di cittadine come Amantea, Palmi, Scilla ed ancora Rocca Imperiale, Crotone, Rossano o Capo Spartivento. Solo per citare alcuni esempi dei centri visitati da Brenson lungo i litorali. Per poi inoltrarsi nell’interno della regione immortalando località della Sila e dell’Aspromonte come anche delle Serre vibonesi. Stilo, Gerace, Pentadattilo, giusto per indicare alcune delle mete dell’artista lettone che finirono delineate preziosamente nelle sue opere. Un’attività preziosa, meticolosa e al tempo stesso colma di una passione artistica infinita.


Così possiamo ammirare ancora oggi quegli scorci di una Calabria che in parte non c’è più, ma che riemerge con la stessa forza impressa dalla furia poetica dell’artista. Visioni di quel mondo così caro a Brenson e che ci permettono di viaggiare andando indietro nel tempo.

info@meravigliedicalabria.it

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