Le uve della Cardinale di Brancaleone
Situato nella suggestiva e profumata “Riviera dei Gelsomini” all’interno della Città Metropolitana di Reggio Calabria, sorge il piccolo e caratteristico borgo pittoresco di Brancaleone. A sud si trova la “Città delle Tartarughe”, delle quali vi abbiamo già parlato qui, che con il suo mare mozzafiato e le sue spiagge che digradano dolcemente verso il mare, costituisce l’habitat ideale per la caretta caretta; mentre nella parte alta della città è possibile ammirare il borgo autentico di Brancaleone Superiore, che conserva tutti i segni del suo passato medievale.
Attualmente borgo abbandonato, la parte superiore della città ha svolto un’importante funzione difensiva e di controllo del meraviglioso paesaggio sottostante, che offre una vista mozzafiato ai suoi visitatori in cui il mare incontra la montagna, osservabile oggi nella presenza di una torre vedetta e di diverse caverne – Sperlinga era infatti l’antica toponomastica di Brancaleone – che costituiscono un suggestivo percorso arricchito da pitture rupestri dal pregevole valore artistico. Il borgo, abitato fino a circa ottant’anni fa, venne abbandonato a causa del crollo della Chiesa della Santissima Annunziata, già distrutta dal terribile terremoto del 1908 e successivamente ricostruita nel 1933, che danneggiò le case sopra le quali si sviluppava e vide gli abitanti lasciare definitivamente questo antico paese arroccato sulla montagna.
Un’antica e pregiata tradizione vitivinicola, l’uva Cardinale di Brancaleone Superiore
Una tra le maggiori attività svolte a Brancaleone Superiore era quella vitivinicola dalle radici antiche tramandate di generazione in generazione, di cui oggi resta solo una rappresentazione nella vigna marginale di Leone Zampaglione, mentre sulla costa altre viti del territorio erano presenti nella vigna di Gianni Tutino, ora abbandonata. In particolate, nella vigna di Zampagnone, è stato rinvenuto un antico palamento custodito in una grotta e scavato nel tufo, che avrebbe potuto custodire, in due vasche, i marcatori molecolari capaci di descrivere la vinificazione delle uve nei diversi periodi storici come quello cartaginese, romano e medievale; tuttavia la distruzione delle vasche ha vanificato la possibilità di sottoporre il palamento ad un’indagine scientifica da parte di Alessandra Pecci, docente dell’Università di Barcellona, che aveva già eseguito analisi simili in Spagna.
Questa straordinaria tradizione vitivinicola è stata più recentemente ripresa dalla famiglia Zampaglione che ha provveduto a rinnovare la vecchia vigna, impiegando le essenze viticole locali seguendo le tradizioni antiche del territorio, come i nerelli, le malvasie dalle uve bianche e nere, ma soprattutto la peculiarità locale: l’uva Cardinale di Brancaleone, costituita da piccoli grappi, dagli acini ovali, radi, di un bel colore amaranto e caratterizzata dal graspo candido e delicato, che si contraddistingue per il suo colore brillante e per gli acini sodi e quasi croccanti.
Sulle tracce degli armeni di Calabria tra le grotte e gli antichi silos di Brancaleone
Durante la dominazione bizantina, per difendersi dalle incursioni provenienti dalla costa, a Brancaleone venne edificato un complesso sistema di silos per conservare i cereali durante le incursioni; simili strutture sono osservabili anche nella città georgiana di Vardzia nel Caucaso, abitata nel passato dagli Armeni, i quali avrebbero lasciato delle tracce della loro presenza in Calabria proprio durante il periodo bizantino.
Inoltre, secondo l’archeologo Sebastiano Stranges e in base a quanto riportato anche dalla Pro Loco di Brancaleone, la presenza degli armeni in questa suggestiva località, oltre alla fattura dei silos, sarebbe riscontrabile anche nella Chiesa grotta, caratterizzata dalla presenza di una colonna centrale ricavata dal tufo della roccia, che rappresenta l’albero della vita, mentre un’altra affascinante peculiarità di questo sito è costituita dalla presenza di un graffito che riprende un pavone, simbolo persiano dell’immortalità, prostrato di fronte alla croce; queste stesse grotte sarebbero poi state popolate anche dai monaci basiliani durante l’età bizantina.
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Articolo sviluppato grazie alle informazioni della Pro Loco di Brancaleone