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Le radici millenarie della festa di San Giuseppe in Calabria

Le radici millenarie della festa di San Giuseppe in Calabria

di Roberto De Santo

La festa di San Giuseppe è una celebrazione che affonda le radici nella notte dei tempi. Prima che il messaggio messianico del cristianesimo si affacciasse sulle sponde del Mediterraneo raggiungendo i territori delle antiche popolazioni che vivevano in Calabria. Le cerimonie in onore di quello che per la tradizione cattolica fu il padre terreno di Gesù risalgono ad usanze pagane. E come spesso avviene anche per altri riti legati ad antiche pratiche di devozione pure il giorno in cui la Chiesta celebra il padre (non naturale) di Gesù è stato assorbito dalla nuova religione. Una sovrapposizione tesa a non ledere in qualche modo i sentimenti popolari, ma allo stesso modo di “rimuoverne” i contenuti pagani.

La festa nei millenni

Quel giorno infatti nei tempi antichi era legato alla vigilia dell’equinozio di primavera e nell’epoca greca e poi romana veniva ricordato con baccanali e riti dionisiaci volti alla propiziazione della fertilità e alla purificazione agraria.

In questo senso si usavano ad esempio accendere falò in cui si bruciavano i residui del raccolto dell’anno precedente quale auspicio all’arrivo della nuova stagione. Un tratto che è rimasto ancora oggi nella tradizione di molte località anche calabresi.
Come ad esempio ad Orsomarso, nel Pollino cosentino, o a Spezzano Albanese dove la ritualità si lega alla doppia natura arbëresh del luogo e l’accensione del falò si celebra con una festa “Fanonjet i Shën Xhusepës” nell’antico borgo.

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Ma degli antichi riti pagani deriva in questa stagione l’usanza del banchetto collettivo, come momento dionisiaco del risveglio dei sensi dopo il letargo invernale e della condivisione del piacere del cibo. Retaggio di arcaiche feste della fertilità e delle gozzoviglie legate a culti greco-romani agro-pastorali. Era anche il momento del ritorno dei pastori dalla transumanza. A quel ceppo si deve l’usanza diffusa in Calabria di preparare banchetti di cibo. Anche se con una variante decisamente meno “spinta” delle usanze di dionisiaca memoria.

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La copia dell’isrizione romana ritrovata a Tiriolo

In quel tempo infatti il tripudio generalizzato dei sensi travalicava i limiti del lecito, tanto che nel II sec. a.C. addirittura il Senato romano dovette proibirne il culto.  Un divieto datato 186 a.C., è passato sotto il profilo legale di una riforma del culto di cui c’è traccia proprio in Calabria e precisamente in un’iscrizione ritrovata nel 1640 a Tiriolo e la cui copia è esposta nell’Antiquarium della cittadina catanzarese perché l’originale è custodito a Vienna. Altro pezzo di Calabria altrove.

“U ‘mmitu e San Giuseppe” nella tradizione calabrese

Ed esempi di banchetti collettivi nel giorno dedicato a San Giuseppe ci sono un po’ ovunque in Calabria che però nei secoli hanno assunto altri connotati. Vicini maggiormente ai sentimenti religiosi della cristianità: condivisione, fratellanza e vicinanza ai più deboli. Sotto quest’ultimo aspetto è da cogliere la tradizione della “Cena di San Giuseppe” molto diffusa in diversi centri calabresi tradotta nei vari termini dialettali di “u mmitu”. Nella tradizione diffusa in alcuni centri si usa preparare un piatto tipico a base di legumi, che rappresentano l’abbondanza, in particolare “lagane e ceci” (tagliatelle fatte a mano con i ceci) da offrire ai poveri del luogo. D’altronde, San Giuseppe, nella tradizione cristiana, oltre ad essere il protettore degli artigiani lo è dei poveri.

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Da qui quest’usanza che si riscontra ad esempio a Laureana di Borrello, nel Reggino, dove si invitano tre persone povere costituite da un vecchio, una donna e un bambino. Simbolo della Sacra Famiglia. Un pasto organizzato e servito da chi ha fatto voto su una tavola benedetta da un sacerdote. Ma di esempi ce ne sono anche nel Cosentino: a Bonifati, Santa Domenica, Sangineto, San Donato di Ninea, Orsomarso, Longobucco e Verbicaro.

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Così come a Rossano, qui per decenni pentoloni pieni di “taddjarin e cicer” venivano offerte dalle famiglie benestanti a quelle meno fortunate. Ancora oggi la tradizione d’“U mmitu e San Giuseppe” è in uso e si celebra nel grosso centro dello Ionio cosentino. Ma di questo costume v’è traccia anche a Crotone come anche in altre località della regione dove è in uso come nel resto del Mezzogiorno, la preparazione della zeppola di San Giuseppe, ma nella versione calabrese: la crema è preparata con la ricotta di pecora. Ed in Calabria c’è anche la versione salata con le alici. A significare quanto sia forte nella regione il legame tra tradizione, storia, miti e religiosità. Gestualità, riti e tradizioni che hanno superato i millenni, rinnovandosi sotto il segno della solidarietà e della filoxenia.

info@meravigliedicalabria.it

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