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Le orme dei saraceni in terra di Calabria

Le orme dei saraceni in terra di Calabria

di Roberto De Santo

Calabria centro del Mediterraneo, postazione strategica per dominare le rotte commerciali e militari. Terra di confine tra mondi apparentemente distanti. Nei secoli queste caratteristiche sono state il tratto saliente per descrivere cosa rappresentasse la regione nella visione geopolitica dei tempi.
Uno degli esempi più plastici che denotano queste caratteristiche è il rapporto con il mondo arabo che le coste calabresi hanno da sempre intessuto.

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Tabula Peutingeriana che raffigura la Calabria oltre ad altri territori del Mediterraneo

Un rapporto che per secoli è divenuto anche terreno di scontro violento che ha contrapposto le flotte bizantine con quelle arabe e poi saracene per il controllo di questi mari e delle località ritenute strategiche.
Fu la rottura della tregua tra la dinastia Aghlabide ed i Bizantini nell’827 d.C. ad aprire le porte alle incursioni sulle coste calabresi. Anche se, come riporta nel volume “I primi insediamenti arabi in Calabria” di Antonio Maurizio Loiacono, la prima traccia degli attacchi in terra di Calabria si ritrova in una lettera datata 813 d.C. inviata a Carlo Magno da Leone III.

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Una missiva in cui si riferisce di un accordo sottoscritto tra Gregorio, patrizio della Sicilia, ed i Saraceni per la restituzione di tutti i prigionieri catturati nel corso di un’incursione saracena in località Comumna Regina, l’attuale Villa San Giovanni.

Le tre roccaforti arabe

Ma le vere e proprie battaglie si registrano solo dopo la rottura della pace detta di Hudna, iniziata nel 752 d.C. con la conquista di importanti roccaforti bizantine. La prima battaglia severa combattuta tra le due flotte di cui si ha menzione storica avvenne nel 840 d.C. in cui le forze saracene sbaragliarono quelle bizantine.
Stando a quella fonte, con molta probabilità quella battaglia avvenne al largo di Nepetia (l’odierna Amantea). Il centro che rappresentava l’area più settentrionale delle roccaforti greche poi cadde in mani arabe nel 846 d.C. nonostante fosse difeso da un importante presidio militare bizantino. Una conquista che segnò l’inizio della dominazione saracene della città che sotto questa presenza cambiò il nome in Al Manthiah (dall’arabo antico La rocca) divenendo sede di un emirato.

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Il borgo antico di Amantea, con lo scorcio sul Palazzo delle Clarisse


Le tracce di quella dominazione durata 40 anni sono rimaste intatte soprattutto nell’organizzazione urbanistica della città vecchia. Caratterizzata da vie strette facilmente difendibili. Gli arabi puntarono anche a rafforzare il castello considerando la città strategica.

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La stele funeraria araba rinvenuta ad Amantea

Mentre tra i pochi ritrovamenti archeologici riferibili al quel periodo c’è da segnalare un frammento di stele funebre rinvenuto all’interno del Palazzo delle Clarisse nel corso dei lavori di ristrutturazione. Un reperto, probabilmente utilizzato come materiale per la muratura, conservato all’interno dell’edificio seicentesco nel cuore del borgo cittadino.
Stando ad alcune ricostruzioni storiche la sede della moschea si trovava dove ora sorgono i resti del convento di San Francesco. Un tempo, dopo la riconquista dei bizantini, insediamento di una comunità di religiosi di rito greco che qui fondò la chiesa di San Basilio.

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Tropea con la sua conformazione tipica del sistema difensivo arabo

A quella stagione di invasioni si colloca anche la conquista di Tropea avvenuta partendo dal caposaldo di Amantea nell’851 d.C. anch’essa ritenuta dai saraceni strategica per garantire le rotte siciliane. Successivamente cadde nelle mani arabe – stando ad alcune fonti tra 853-854 d.C. – anche Santa Severina.
Nel territorio vibonese, i saraceni già l’anno prima della conquista di Tropea espugnarono Vibo, ma è nella cittadina rivierasca che gli arabi si stabilirono. Questo sempre al fine di esercitare una certa egemonia sul mare. Ma grazie a questa conquista gli arabi riuscirono a spingersi anche nell’entroterra fino a Taurianova e lungo le coste dominarono Nicotera, Pizzo e Bagnara. Di quella presenza Tropea conserva diversi tratta dello sviluppo urbano. Qui la storia degli arabi si lega però alla loro cacciata avvenuta molti secoli ma soprattutto alla partecipazione dei tropeani alla battaglia di Lepanto che inflisse agli ottomani nel 1571 una pesante sconfitta. Per ricordare quella battaglia Tropea ogni 3 maggi si celebra la festa folkloristica di “I Tri da’ Cruci”.

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Il Castello di Santa Severina, rinforzato anche dai saraceni durante la loro dominazione


A Santa Severina, altra roccaforte bizantina espugnata dai saraceni e divenuta un baluardo della presenza araba in Calabria, i saraceni dopo la conquista rinforzarono l’antico castello bizantino. Contavano così di resistere nel tempo. Fu proprio quel baluardo arabo a resistere all’assedio dell’esercito imperiale nell’883 d.C. che decreto la sconfitta in battaglia degli uomini comandati dal generale bizantino Stefano Massenzio. Ma non riuscì a impedire due anni dopo che il potente esercito bizantino guidato da generale romano Niceforo Foca entrasse in città sconfiggendo prima i saraceni asserragliati nella cittadina e poi liberasse dopo quarant’anni anche Amantea.

Le altre tracce arabe in Calabria

Ma oltre alle tre città trasformate dai Saraceni in loro roccaforti – per alcuni in veri e propri emirati – sono diverse le località calabresi che conservano tutt’ora tracce del passaggio di quella dominazione.
Presenze riscontrabili in toponimi o in parole arabe entrate nel dialetto locale. Come ad esempio Brahalla (da barak Allah) antico nome dell’attuale Altomonte. Poi c’è l’incisione in arabo che inneggia ad Allah su una delle colonne della Cattolica di Stilo che per questo fa ipotizzare che l’edificio bizantino in realtà sia sorto dalla distruzione di una precedente moschea.

La storia di Uluç Alì

Una menzione a parte dei legami della Calabria con il mondo arabo antico, merita la storia di Uluç Alì. Si tratterebbe, secondo alcune fonti storiche, del giovane Giovanni Dionigi Galeni rapito dagli ottomani nel 1536 a Le Castella durante una razzia da parte del corsaro Barbarossa. Divenuto schiavo, per avere salva la vita avrebbe abiurato la sua fede cristiana, lui che stava per divenire monaco.

Convertito all’Islam, quel ragazzo preso il nome di Uluç Alì (Alì il rinnegato, in turco) ed entrò nella marina ottomana. Si distinse in battaglia come feroce corsaro e fece carriera tanto da divenire comandante della flotta turca d’Alessandria e poi pascià di Tripoli e poi governatore arabo di Algeri. Partecipò alla battaglia di Lepanto e fu l’unico dei comandanti ottomani a salvarsi dalla disastrosa sconfitta subita dai turchi. Per ricordarne la fama, a Le Castella vicino la fortezza sorge un mezzobusto con un’epigrafe che lo menziona nell’omonima piazzetta Uccialì.
Una sorta di celebrazione dei legami tra il mondo arabo e le terre di Calabria dominate anche con il terrore dai saraceni.

info@meravigliedicalabria.it

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