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Le origini misteriose del complesso rupestre di Pignarelle

Le origini misteriose del complesso rupestre di Pignarelle

Tra i secoli IV e XI, a circa un km dal mare, vicino la Città di Palmi in località “Pignarelle”, in una insenatura dalle pareti alte e scoscese al centro della quale scorre un fiumiciattolo, si creò un grosso insediamento monastico rupestre composto da un sistema di grotte a vari livelli scavate a mano d’uomo seguendo precisi schemi di costruzione. Inizialmente questi luoghi risultarono congeniali, sia per nascondersi, che per attuare la missione della ascesi esicasta.
I primi ad arrivare, come ipotizzato, furono monaci, di stirpe Siro Melchita, e Copti di lingua araba e rito greco, fedeli al Papato di Roma. Essi migrarono dal Medioriente a causa delle persecuzioni dei secoli IV-XI per rifugiarsi nella Calabria cristiana bizantina, attratti dall’antico Monastero di San Fantino a Tauriana, esempio di accoglienza greca, cioè la “filoxenía”: l’amore verso lo straniero è il valore sacro dell’ospitalità.  

La presenza di questi monaci è attestata, nel bios di San Fantino, scritto dal Vescovo Pietro nel sec. VIII. In un passo egli, tra l’altro, afferma che Tauriana fu una città fiorente durante l’età tardo antica e la prima età bizantina, come dimostrano le sue rovine. La sua prosperità ricevette un duro colpo verso la fine del secolo VI, per le incursioni longobarde … lo storico professor Domenico Minuto, da me accompagnato nel 1993, per un sopralluogo, ipotizzò che queste grotte abbiano ospitato non solo un complesso monastico, ma anche un intiero abitato, compresi i suoi luoghi di culto, indicando anche il temporaneo spostamento dei monaci e cittadini della vicina Taureana dopo la devastazione subita dai longobardi e prima della sua ricostruzione.
Infatti due lettere di papa Gregorio Magno dell’anno 591 ci informano che i monaci della città erano stati dispersi dalle incursioni longobarde, per questo il papa chiese al vescovo di Taureana Paolino di radunare i monaci rifugiati e portarli al sicuro a Lipari, (cfr. D.Norberg, S.Gregori Magni Registrum Epistularum). Partendo da questa autorevole ipotesi, si può affermare che questo insediamento, era già esistente nel sec. VI, ma, come vedremo, esso potrebbe essere molto più antico.

Le grotte conosciute e quelle da scoprire


Sei di queste grotte sono conosciute e in tre di esse vi sono incise delle croci, di cui di una sappiamo il nome “Vallaretta” la quale è stata visitata nel 1995, su mio invito, dal professor Serge Collet. Sul lato sinistro dell’entrata, rivolto ad est, è presente un muro di fortificazione con finestra a bocca di lupo, all’interno una probabile sepoltura con coperchio di pietra intagliato (1), sulla volta d’ingresso è scolpita una croce siro melchita; un’altra croce ansata si trova in una parete sul lato ovest, dove vi sono, scavate nella roccia, porta lumini, potrebbe essere una antica sepoltura cristiana copta.  Sul lato opposto, al di là del torrente, lungo il costone, vi sono diverse grotte dislocate a varie altezze (2), due di queste sembrano luoghi di culto con pianta longitudinale, di cui una, la più grande, è introdotta da un ampio atrio sorretto da grossi pilastri (3).

Il dottor Francesco Stilo ha elaborato un rilievo laser scanner che restituisce esattamente la pianta della grotta (4). Lungo i due corridoi, ai lati, sono stati ricavati numerose celle per i monaci (5) che ripropongono stilemi riscontrati nelle grotte del deserto in Egitto e in Cappadocia in Turchia (6).

Alcuni di queste erano probabilmente a due piani; percorso il primo corridoio sulla destra, sul fondo si scorge una scalinata scavata nell’arenaria che porta in un altro piano della grotta e mette in comunicazione un ambiente, dove si scorge una parete epigrafica dove, forse su tavolette, vi erano incisi epitaffi.

7 - Meraviglie di Calabria - 14

Proseguendo si entra in un altro ambiente a forma di Croce copta a doppie braccia, anche qui numerose mensole incavate ad arco arabo, con funzione di porta Icona. Sul fondo un ambiente trilobato, dove sul tetto si apre una cupoletta, era probabilmente un luogo di culto, con funzione di chiesa/sepolcro.

La grotta dell’altare

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Uscendo da questo complesso, ad un livello più alto dell’insediamento, si trova un’altra cavità, che abbiamo chiamato “la grotta dell’altare”. L’entrata è nascosta da una roccia calcarea; la cavità, anche questa scavata con strumenti rudimentali, si trova ad un livello di circa 3 metri più bassa rispetto l’esterno; da subito si è difronte a un vestibolo con al centro una colonna della stessa roccia, il tetto risulta basso, per il sollevamento dovuto al materiale alluvionale, proseguendo a destra, si scende ancora di livello, dove, lungo la parete di sinistra, c’è un probabile altare sormontato da una nicchia.
Scendendo, ancora si entra in una cameretta il cui ingresso ricorda l’utero materno. Questa Grotta potrebbe essere l’ambiente più antico di tutto il complesso: la professoressa Sarah Minuto ha infatti ipotizzato che questa grotta, non è cristiana, essa ha conservato l’impianto architettonico costruttivo, tipico del “Tempio della luce” per il culto della Dea Madre o Madre Terra e la forma richiama il luogo del concepimento, un luogo sacro dove si praticava “il culto degli antenati” connesso con la “Madre Terra” rivolto ai defunti di una intera comunità.  Secondo gli studi, le origini del culto della Dea Madre risalirebbero al neolitico.

La grotta del monaco guaritore

Un’altra grotta è posta ad un livello più in basso rispetto alla grotta grande, da noi chiamata “la grotta del monaco guaritore” (9). Questa grotta appare più rifinita nelle forme, sull’arco d’ingresso è incisa una croce di tipo greco, o mediorientale appena visibile. Ai lati dell’ingresso si notano due grandi mensole scavate e in alto un’ansatura a formare un “Nartece” tipico nelle chiese greche. Nel tetto di questo nartece finemente scolpito il “Sole bizantino”10 chiamato anche “labirinto”.


Nel cristianesimo il labirinto rappresenta il cammino simbolico dell’uomo verso Dio e spesso il centro del labirinto rappresentava la “città di Dio”.
Entrando, a sinistra, un piccolo ambiente con dei sedili scavati, più avanti, incise nella parete, grafie orientali oggi crollate (11), di fronte, sempre scavata, una celletta sollevata da terra e poco profonda, in uso ad una sola persona (12) .

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Lungo le pareti, diverse mensole incavate, di cui una sembrerebbe porta Icona; proseguendo, a sinistra, si ritrova un altro sedile scavato (13) e posto in una grotticella nel cui tetto vi è “la cappella Sistina dell’energia” (14 ).

Su questo sinus ci ha spiegato il professor Riccardo Scornajenghi che si occupa di benessere, meditazione e spiritualità: «si scorgono simboli energetici e i relativi flussi in cui si intravedono i sistemi aperti attraversati dal flusso di energia libera che mantiene l’equilibrio rispetto all’ambiente». Sul fondo è appena accennato un ambiente trilobato centro dell’energia. Si ipotizza che la grotta fosse un percorso di guarigione e di crescita interiore e spirituale.

Grotte dei cunicoli

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Proseguendo nel viottolo, a strapiombo sul torrente, si giunge ad un altro gruppo di grotte scavate nel banco di arenario, da noi chiamate “Grotte dei cunicoli” per via delle numerose gallerie che si aprono lungo quella principale. Questa zona dell’insediamento è stata da noi esplorata solo in parte, in quanto impediti da alcuni crolli e infiltrazioni di acqua. Una galleria, in particolare, sembrava molto profonda, essa è in comunicazione con un ambiente più ampio circolare dal diametro di circa 10 metri, dove, in una parete costituita da materiale compatto, sono state notate delle tracce di colore, forse un affresco. Proseguendo dritto lungo questa galleria dopo circa 30 metri si giunge ad in un ampio ambiente, dove, si scorge una cavità lunga circa m. 1. 80 x m. 0,70 e profonda m. 0,90, che ci è sembrata una “sepoltura”. un antico crollo della galleria, non ci ha permesso di proseguire.   
Queste grotte sono conosciute dalla gente del posto e gli anziani riferiscono che durante l’ultima guerra mondiale sono state usate dalla popolazione come rifugio durante i bombardamenti. Ad alcune di queste gallerie si attribuiscono lunghezze anche di chilometri. (Domenico Bagalà)

info@meravigliedicalabria.it

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