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La Zampogna, una tradizione profonda che incontra i territori

La Zampogna, una tradizione profonda che incontra i territori

Sulla sua origine regna, di fatto, il dubbio, certo è che si confrontano molte ipotesi e tante tesi, una delle quali parte dal I sec. d.C. e riguarda uno strumento musicale con riserva d’aria chiamato «utricularis»Lo usava l’Imperatore Nerone, la derivazione era probabilmente orientale. La prima apparizione, con documentazione, arriva decisamente più tardi.
La zampogna è senz’altro uno strumento che affonda le proprie radici in un contesto popolare e più propriamente nella dimensione pastorale delle comunità, questa circostanza – unita al fatto che come strumento ha limiti per quanto attiene all’intonazione ed all’estensione musicale – ha fatto si che la zampogna fosse nel corso dei secoli scarsamente considerata e via via il suo impiego è stato relegato a particolari ricorrenze, come ad esempio il Natale. In Italia la Zampogna non è unica, i modelli sono diversi e sono intimamente legati ai territori, ne possiamo elencare almeno 13 di cui almeno 4 in Calabria.

La Zampogna in Calabria: cultura di una tradizione che incontra i territori

La più nota nella nostra regione è la «surdulina» presente nella parte meridionale della Basilicata ed in buona parte della Provincia di Cosenza, nel territorio protetto del Parco Nazionale del Pollino; questa zampogna appartiene alla cultura arbereshe e viene indicata con il termine «karramunxia». Alcune delle caratteristiche la distinguono dagli altri tipi di zampogna, la lunghezza dei chanter (le canne), il profilo della perforazione interna, l’estensione della scala. Nella maggioranza dei casi, perché esistono in concreto delle differenze, lo strumento presenta due chanter di pari lunghezza, un bordone minore e un bordone maggiore di dimensioni superiori a quelle dei chanter (ed è caso unico nelle zampogne italiane). Tecnicamente la surdulina è il modello di zampogna italiana più piccolo in circolazione.

Ma nella nostra regione merita una menzione anche la cosiddetta «cerameda a paru», simbolo dell’intrattenimento e della festa nel mondo pastorale, soprattutto aspromontano, che ha suscitato l’interesse degli studiosi i di etnomusicologia e di antropologia culturale. La cerameda, così come viene chiamata nel reggino, ovvero «cornamusa, zampogna, cennamella», nelle diverse aree calabresi è indicata con differenti nomi: «ceramedda, ciaramella, ciarameddha, giarameja» e altre varianti ancora. In Calabria, nei contesti rurali e pastorali che ancora mantengono vive le tradizioni del passato, non è insolito imbattersi in pastori che costruiscono questi strumenti; tra i luoghi principali vi sono Farneta e Verbiciaro nel cosentino, Brancaleone e Bagaladi nel reggino

La maestria artigiana della zampogna calabrese nasce dalla natura

Vengono utilizzati solo elementi naturali, come legno, canne per le ance, cera d’api; in genere le zampogne calabresi hanno 4 o 5 (eccezionalmente 6) canne ad ancia infisse in un ceppo tronco-conico (busciula o testale) che comunica con l’interno di un otre di pelle. L’otre fornisce la riserva d’aria ed è ricavato dalla pelle di una capra o di una pecora che, sfilata per intero dall’animale, ne mantiene la forma con il pelo all’interno. Al posto del collo viene legato il ceppo, al posto di una zampa anteriore, il cannello di insufflazione. Le altre zampe vengono chiuse e sporgono bene in evidenza. Le fasi della costruzione di una zampogna sono complesse e richiedono perizia, il legno più utilizzato è senz’altro «u scannabeccu pirainaru» ma anche ciliegio, albicocco, raramente l’ebano.

info@meravigliedicalabria.it

Foto di copertina di BiblioLMC

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