La Sila nei piatti e il successo della Stella Michelin Antonio Biafora
«Mi spiace per l’attesa ma io e il lievito madre non abbiamo gli stessi tempi!». Arriva così Antonio Biafora, chef una stella Michelin per “Hyle”, il ristorante di San Giovanni in Fiore (Cosenza). Lascia la cucina giusto il tempo di una chiacchierata e per riavvolgere il nastro sul “Biafora Resort&Spa”, la struttura che lo ha visto nascere, in tutti sensi. È una storia di pini e d’abeti che si alzano fino a toccare il cielo: fino a prendere una stella. È una storia di famiglia, di orgoglio e di sfide, quelle che ti leghi al dito ogni mattina quando stringi il nodo del grembiule ed entri in cucina.
C’ERA UNA VOLTA UN CHIOSCO
Torniamo indietro e mettiamo il fermoimmagine. Scene in bianco e nero, sono i primi anni Settanta quando le strade sono un via vai di operai impegnati con il rimboschimento della zona (la Sila era stata ceduta agli americani come dazio di guerra). All’epoca, Antonio Biafora senior aveva una rivendita in località Ceraso, tra Lorica e San Giovanni in Fiore, un piccolo bar dove si preparava qualcosina da mangiare e si vendevano le bombole a gas. Nel tragitto che faceva ogni mattina, si era innamorato di un appezzamento di terra: decise di acquistarlo e spostare la rivendita sul ciglio della statale 107 che nasceva proprio in quegli anni. Il chioschetto si trasformò in trattoria e punto d’incontro per le pause pranzo e le cene soprattutto degli operai: tronchi tagliati a mo’ di tavoli e seggiolini che ogni sera venivano smontati perché il signor Biafora viveva (e dormiva) sempre lì con la sua famiglia.
Tutto era di produzione propria (il chilometro zero ante litteram!), dai salumi alle carni. “Nonno era ambizioso – dice oggi Antonio junior, lo chef – e nelle pause pranzo continuava a fare il muratore, l’idraulico, l’imbianchino mettendo su una struttura più imponente che già negli anni Ottanta accoglie i banchetti di nozze. Poi la creazione delle prime stanze d’albergo. È il ’99 quando nonno cede il passo a mio padre che prosegue sulla strada del riammodernamento: ogni stagione estiva era il bottino per ristrutturare il giardino, le camere, la reception, il ristorante”. Nel 2013 la struttura inaugura la Spa: è la svolta nel segno dell’hospitality e del turismo silano che fino ad allora raramente aveva visto – ad eccezione dei weekend – persone fermarsi in zona per trascorrere un paio di giorni.
IMPARARE A SAPER FARE TUTTO
Ma dov’è Antonio Biafora in tutta questa storia? Ovunque. È il pianista sull’oceano che non è mai sceso dalla nave e, negli anni, ha visto viaggiare una marea di persone. Da piccolo, insieme al fratello Luca, si nascondeva sotto i carrelli dei sacchi di farina pur di passare del tempo con la famiglia sempre alle prese con albergo e ristorante e il suo orizzonte era la cucina dove nonna Serafina metteva le mani in pasta. Antonio no. Crescendo si è dedicato alla sala insieme al papà: una gavetta di un decennio vissuto in divisa e in mezzo ai tavoli del “Bistrot Tavola XXIII”. L’impresa è di famiglia e lui vuole farne parte e continuare sulla scia dell’impegno del padre e del nonno prima di lui. “Nonno mi diceva che prima di saper comandare bisogna saper fare”, ricorda lo chef. Così, Biafora jr sceglie di vivere un’esperienza completa della struttura: lavora all’accoglienza in reception e poi insieme al personale di servizio per imparare a gestire il riassetto delle camere. Mancava solo la cucina. È lì che succede qualcosa: quando mette piede dentro timbra un biglietto di sola andata: «È stato un attimo ed è stato chiaro, era quello che volevo fare, era la parte dell’albergo che mi dava la voglia di mettermi la divisa tutti i giorni».
Scende dalla nave, ma lo fa per imparare i segreti del mare, si fa per dire, e del mestiere. È grande rispetto all’età media in cui ci si approccia alla cucina. Chef Biafora lo sa ma non si abbandona agli “ormai”: ha scelto una strada di “ancora”. Lo stage presso la Boscolo Étoile Academy, poi l’Alma, la scuola di cucina di Gualtiero Marchesi. E ancora lo stage della scuola ad Alba, l’esperienza presso il bi-stellato “Bracali” di Massa Marittima (Gr), poi Milano e pure il Giappone. È pronto per il rientro a casa. Il 10 gennaio 2020 apre i battenti Hyle (si legge “ile”, significa “materia” ed era usato dai Greci per indicare l’altopiano silano). Il tempismo non è stato dei migliori e la pandemia ha fatto del male anche al Biafora Resort: «Ma siamo sopravvissuti – dice – grazie ad una struttura dalle spalle grosse, avevamo già una storia anche nella ristorazione». Non c’è riuscito il covid a piegarli o fermarli e dopo il riconoscimento “Sorpresa dell’anno” di Identità Golose 2021, la stella Michelin bussa alla porta dello chef: la prima sul cielo della gastronomia in Sila (e l’unica nella provincia di Cosenza), la sua Sila, la sua casa, quella che non ha pensato di abbondonare alla volta di un’America e di fortuna. «Complice l’orgoglio – ammette oggi -. Il solo pensiero che un giorno qualcuno sarebbe riuscito a fare questo, qui, mi turbava! Perché un altro? Perché non posso provarci io? Forse fuori sarebbe stato più semplice, per quanto andare via di casa non è mai facile. Ma può essere più complicato restarci. E poi fuori non sarebbe stata la stessa cosa: non avrebbe avuto lo stesso sapore».
LA SILA È NEI PIATTI
Non guarda la stella Biafora: lo sguardo è sempre oltre. Ma non perché questa “medaglia” non sia importante, dice, semplicemente perché non è l’obiettivo: «Ciò che conta è la gratificazione degli ospiti, chi viene da noi deve stare bene».
Sila tutta intorno a te e pure nei piatti. Biafora ha un orto di 1200 metri quadri e con la signora Marianna, allevatrice di volatili, ha realizzato la prima voliera della Sila dove si allevano i piccioni in esclusiva per il ristorante. Il menù è stagionale, ambizioso ma soprattutto dinamico: inserire un nuovo piatto significa pensare già al successivo e mettere insieme ingredienti ed esperienze. È un lavoro d’orchestra, più che di brigata, perché lo chef dà voce a tutti in cucina: «Anche l’ultimo arrivato ha il compito di dire la sua in prospettiva di miglioramento». È così che nascono pure gli abbinamenti cibo-vino: un accordo tra Stefano, il sommelier di sala, e la crew. La carta dei vini di Hyle conta 630 etichette, un terzo delle quali parla calabrese.
Quindi, chi prenota un tavolo da Hyle (il ristorante ha 12 posti a sedere) cosa si aspetta? «Non lo so» – sorride lo chef – ma sono certo che diamo il massimo delle nostre possibilità lavorando ad una identità forte, lontani da mode. Abbiamo la libertà di poterci esprimere. Alla fine, credo che chi viene si aspetta la Sila”. È così lontano dalle tendenze chef Biafora che appena un piatto del menù pare stia per diventare un must lo toglie dalla carta: «Ci serve da stimolo, non ci accontentiamo mai. Forse non sarà sempre così ma in questa fase di vita professionale vogliamo stare con la coperta corta per essere stimolati a migliorare».
NONNA SERAFINA, LA PASTA AL POMODORO E LA STELLA
Descrivere la cucina dello chef Antonio Biafora è una raccolta di parole nel campo della succulenza e dei contrasti in equilibrio: bottoni di lepre, borragine ed estratto di albicocca, Agnello arachidi e carote, piccione nocciola a cardamomo, Animella di podolica, melanzana al sesamo e aglio sono pochi esempi che solo a nominarli ti portano in un’altra dimensione. È il potere del cibo, in fondo: un viaggio altrove. Un mantra per chef Antonio che organizza tutta la sua vita in base ai ristoranti da visitare, cercare di vedere e capire.
Il suo piatto preferito è la pasta al pomodoro di nonna Serafina a cui ancora chiede dritte per le ricette. La verità è che la Stella, quella con la maiuscola, è la sua famiglia. Una stella polare (e non solo perché siamo a 1000 metri sul livello del mare!) che ha sempre guidato i Biafora. È una storia iniziata in bianco e nero e oggi ha tutti i colori della dedizione, del territorio e del genio di Antonio Biafora.
di Rachele Grandinetti