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La scure greca “trafugata” di San Sosti, un caso tutt’altro che risolto

La scure greca “trafugata” di San Sosti, un caso tutt’altro che risolto

di Roberto De Santo

Un caso aperto. Un contenzioso ancora tutto da dirimere e la cui risoluzione è tutt’altro che facile. Di certo c’è che la vicenda dell’ascia votiva di Kyniskos – lo straordinario reperto archeologico, risalente al VI sec. a. C. rinvenuto nel 1846 nell’area di San Sosti e finito al British Museum di Londra – presenta tutti i contorni di quello che si può definire una sottrazione illegale di un bene di incommensurabile valore. Per San Sosti che da decenni conduce una battaglia per ottenerne la restituzione, per la Calabria, ma anche per l’Italia intera.

La storia della scomparsa

Stando alle ricostruzioni documentali dell’epoca, infatti, l’ascia sarebbe stata rinvenuta in località Casalini della Porta o Casolari della Porta della Serra nel territorio di San Sosti (nelle foto in alto l’area). In quell’area ritenuta la zona dove sorgeva l’antica e misteriosa città di Artemisia. A parlare della scoperta fu il canonico calabrese Leopoldo Pagano che ne fa menzione in un suo volume del 1857. E si deve sempre a lui la notizia che quello straordinario reperto fu stilizzato in un disegno dal letterato e studioso di archeologia, il vibonese Capialbi, nel 1852 e poi pubblicato a cura dell’archeologo napoletano Giulio Minervini sul “Bullettino Archeologico Napoletano”.

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Il disegno dell’ascia riportato nel “Bullettino Archeologico Napoletano”.

Dunque fino a quella data l’ascia si trovava ancora in Italia e precisamente a San Sosti. Questo si desume dallo scritto dello stesso Pagano: «La scure è conservata in San Sosti, attuale capoluogo del circondario (…)». Poi dopo quello scritto del 1857, del prezioso reperto se ne perdono le tracce documentali. Almeno quelle scritte e partono le supposizioni. Secondo alcune voci, si ritiene che l’ascia di Kyniskos sia stata trasportata al Museo Borbonico di Napoli – all’epoca la Calabria era territorio del Regno delle Due Sicilie – per una traduzione esatta dell’epigrafe. Ricordiamo che quel reperto – che si ritiene votivo vista la fattura non atta ad essere utilizzata per scopi bellici – riporta un’iscrizione in greco. Da qui le necessità di interpretare al meglio quella dicitura trasferendo l’ascia nell’allora capitale del Regno da cui però “misteriosamente” scomparve. E chi invece sostiene che quell’incommensurabile tesoro dell’arte achea sia stato venduto da un signorotto del luogo ad un mercate d’arte.

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Di certo c’è che l’ascia rinvenuta a San Sosti all’improvviso ricompare nel 1884 nelle collezioni di Alessandro Castellani. Un orafo, antiquario e collezionista d’arte appartenente alla famosa dinastia di orafi e antiquari romani. Da Roma finì all’asta lo stesso anno a Parigi all’Hotel Drouot per essere acquistata da Sir Charles Thomas Newton, archeologo e funzionario del Dipartimento delle Antichità del British Museum. Sito dove tutt’ora si trova e da cui San Sosti ma anche alcuni parlamentari italiani da anni tentano di riportare in patria. O meglio nel territorio a cui è stato sottratto: appunto San Sosti. Una battaglia per la restituzione di quello che senza dubbio è un furto.

All’epoca della scoperta e della scomparsa vigeva la norma che vietava l’esportazione di reperti d’arte di rilevante interesse storico-artistico. Caratteristiche proprie dell’ascia votiva di Kyniskos che già in quel periodo era nota non solo negli ambienti scientifici per le sue peculiarità. In poco meno di 20 centimetri, quell’ascia di bronzo restituisce intatta la storia delle origini di Sibari. E la dizione riportata sul reperto ne garantisce la genuinità unica. «Sono sacro alla Hera – recita l’iscrizione – che ha il suo santuario nel piano. Mi dedicò Kynískos il vittimario, come decima [del compenso] delle sue prestazioni».

Un volume per ricostruirne la vicenda

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La storia dell’ascia e delle sue peripezie sono state riportate ora anche in un libro “Casi freddi: ‘La scure letterata’ e le sue peregrinazioni: dalla Calabria al British Museum”. Un testo decisamente interessate per approfondire questa storia visto che l’autore è Gino Famiglietti giurista, docente universitario ma soprattutto ex direttore del ministero della Cultura, l’ex Mibact. Dunque una personalità nel campo che conosce per averla approfondita da vicino la vicenda. Un testo che verrà presentato venerdì 5 alle 18 nella sede della Fondazione Premio Sila a Cosenza, che punta a dare una nuova luce a quello che resta un caso irrisolto.
E del quale neanche le autorità istituzionali italiane hanno ancora avuto risposte da Londra. L’ultima interrogazione presentata dal parlamentare cosentino Franco Bruno del 2016 è rimasta ancora senza risposta. E il paradosso è che l’iter di quell’atto parlamentare – almeno consultando gli archivi di Montecitorio – resta sotto la dicitura “in corso”.

info@meravigliedicalabria.it

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