La sacralità ancestrale del rito dei “Vattienti” di Nocera

di Roberto De Santo
C’è il segno di una sacralità antica, ancestrale, legata a quel senso di colpa primigenio per la morte del Cristo. Una ritualità che diviene materialmente corpo e sangue. Espiazione penitenziale e drammaticamente vera vissuta dai “Vattienti” che infliggendosi ferite dimostrano di voler pagare il fio per aver causato la crocifissione di Gesù. E chiedere in questo modo diretto il perdono. Nella tradizione secolare che si svolge per due giorni a Nocera Terinese, si colgono diversi aspetti che convergono nel forte sentimento di religiosità che si fa esteriorizzazione del dolore corporale.


Già dalla notte del Venerdì Santo i “Vattienti” testimoniano quel forte sentimento. Pagando in prima persona, attraverso lo spargimento di sangue conseguenza dei colpi da loro stessi inflitti sul proprio corpo. Sangue versato, supplizio del corpo che in qualche modo avvicina l’uomo al Signore.
Un legame simbolicamente rappresentato anche dalla presenza nel rito dell’Acciumu (termine gergale del latino Ecce-Homo, ecco l’uomo), la figura a cui è legato materialmente con una corda il “Vattiente”. Espiazione, dunque, penitenza e legame con quel Dio fatto carne e sacrificato per la redenzione degli uomini.


Le origini del rito dei “Vattienti” di Nocera Terinese fanno riferimento ai rituali medievali quando l’autoflagellazione come metodo di espiazione dei peccati era molto diffusa nei vari Paesi cristiani europei. E poi via via è scomparso. Le prime testimonianze scritte del rito che si celebra ogni anno nella notte del venerdì santo ed il giorno successivo risalgono al 1618, ma ci sono tracce che retrodatano quel rituale a parecchi secoli prima.

Quel che c’è di certo che Nocera, assieme a Verbicaro, rappresenta uno degli ultimi esempi di quella pratica e per questo resta un tesoro delle tradizioni popolari da preservare. Nonostante l’avversione dimostrata più volte dalla stessa Chiesa e dalle istituzioni. In diverse occasioni, infatti, questo rito è stato messo in discussione, fino a chiederne l’abolizione.
Procedure che, proprio per il forte legame identitario dimostrato non solo dalla popolazione locale, sono state comunque fermate. E la ritualità dei “Vattienti” di Nocera superando i secoli si perpetua ancora.
Il rito
A Nocera Terinese il rito dei “Vattienti” si svolge la mattina del Sabato Santo, anche se un primo evento si tiene la notte del Venerdì quando i primi gruppi escono per strada e, dopo essersi battuti a sangue sulle gambe, manifestano la penitenza per la morte del Cristo.
Ma è il giorno che precede la Pasqua che i gruppi di “Vattienti” sono più numerosi. Il rito si consuma all’interno della processione della Madonna Addolorata che percorre Nocera. I flagellanti indossano un completo nero composto da una maglia e un pantaloncino corto per lasciare scoperte le gambe alle flagellazioni. In testa calzano un panno nero, simbolo di penitenza, fermato da una corona di spine.

Con loro ci sono altre due figure: l’“Acciumu” (spesso un familiare del “Vattiente”) vestito di rosso ed il portatore di vino. Sarà quest’ultimo a porgere l’infuso costituito da aceto e rosmarino necessario a disinfettare le ferite. Per colpirsi il “Vattiente” utilizza il cardo, un disco di sughero in cui sono inseriti tredici pezzi di vetro. Un numero che simboleggia i 12 apostoli con Gesù. Inoltre il “Vattiente” ha con se la “rosa”, si tratta anche in questo caso di un disco di sughero liscio con il quale il flagellante prepara la pelle ai colpi inflitti con il “cardo”.


Dopo essersi battuto ripetutamente, il “Vattiente” lascia dietro di se una lunga scia di sangue. E in posti specifici macchia con quel sangue porte e luoghi sacri. Una ritualità che si ripete più volte fino al momento più carico di significato, quando il “Vattiente” va incontro alla Madonna nella processione e ripete inginocchiandosi davanti alla statua dell’Addolorata.


Un passaggio che fa poi rientrare all’interno della processione il flagellante. Gestualità e usanze che si ripetono da secoli e che rendono questo rito talmente vivo da lasciare una traccia indelebile a chiunque abbia partecipato alla rappresentazione. (Foto: Generoso Arlia, Web)
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