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La festa della Pita, ad Alessandria si rinnova il rito ancestrale

La festa della Pita, ad Alessandria si rinnova il rito ancestrale

di Roberto De Santo

Una festa dal sapore ancestrale perché affonda le sue origini nei riti arborei. Un legame che unisce la sacralità di una cerimonia religiosa ad antichissime usanze che si perdono nella notte dei tempi. Appunto quei rituali che provengono da epoche remote e che coincidono in quello specifico periodo dell’anno che vede la natura rinascere con l’arrivo della primavera. La festa della Pita di Alessandria del Carretto conserva per questo intatto il fascino di ritualità che richiamano l’uomo ai suoi primordi. Quelli della vicinanza con madre natura.

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Una sorta di spiritualità che prima di avere i carismi della religiosità ufficiale rientra nella comunanza tra specie diverse. Per questo – forse – la cerimonia che coinvolge un’intera comunità risulta particolarmente sentita non solo dai chi vive in questo splendido angolo della Calabria. Lo deve ad un richiamo primigenio con la foresta, con gli elementi naturali dell’ambiente che ci circonda.

Un magico cerimoniale che si sussegue da secoli e che si celebra in questo periodo dell’anno e che vede oggi – domenica 28 aprile – uno dei momenti salienti del rituale. È il giorno del trasporto della pita – dall’antica lingua locale pitë – il grosso abete già scelto la seconda domenica di aprile per divenire il protagonista di questa cerimonia arborea che si concluderà con la festa dedicata a papa Alessandro martire patrono del borgo nel cuore del Pollino calabrese a cui si fa dono del fusto.

Un rito che, come vuole la tradizione, prevede il trasporto del grande albero privato dei suoi rami con la forza delle sole braccia e senza alcun apporto meccanico dalla foresta al centro del paese per essere qui poi innalzato. Un’operazione che proprio in virtù della sua laboriosità finisce per divenire sforzo collettivo e che per questo fa sentire tutti parte unica di una grande comunità. Come ad Alessandria del Carretto appunto.

I legami con i riti pagani

Dicevamo di un legame antico. In molti notano la similitudine di questa cerimonia con i riti pagani legati alla fecondità celebrata con l’arrivo della primavera, ma anche il legame tra i simboli dell’uomo e degli alberi. I cicli della vita che si susseguono e che vedono gli alberi protagonisti.

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Nell’antica Grecia l’abete bianco era il simbolo della dea Artemide, protettrice delle nascite. Ma quest’albero era sacro anche per il dio del mare Poseidone, visto che dagli abeti si ricavavano possenti navi. E le feste pagane per celebrare l’arrivo della stagione più feconda – la primavera – erano molto diffusi tra le culture antiche. Tutti aspetti che poi il sincretismo religioso ha trasformato nel rito che almeno dal 1600 si ripete ad Alessandria del Carretto.

La leggenda dell’apparizione del santo

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Ora si lega questa cerimonia alla devozione del santo patrono, prima forse ad altre divinità. Una prosecuzione del sentire che è percepibile per chiunque si trovi a vivere questa esperienza unica che si ripete ogni fine aprile ad Alessandria del Carretto. C’è anche una leggenda che riguarda l’origine di questo rito. Una leggenda che narra di un boscaiolo che – oltre quattro secoli addietro – avrebbe visto, mentre lavorava un abete bianco, del sangue sgorgare dal tronco ed al suo interno l’immagine di Sant’Alessandro.

Da allora si perpetua questa cerimonia: in occasione della festività del Santo Patrono, un abete bianco – scelto appositamente per il rito – viene tagliato e portato in dono a Sant’Alessandro. Un rito a cui partecipano decine di persone accomunate dal desiderio di partecipare in prima persona all’evento. Un sacrificio fisico che diviene anche gesto corale per sentirsi parte della comunità.

Le tappe della cerimonia

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La cerimonia legata alla festa del patrono di Alessandria del Carretto ha una lunga gestazione e si divide in fasi. La prima è legata alla scelta dell’abete (pita) che deve essere il più possibile dritto per lo scopo che dovrà poi svolgere. Dopo essere stato abbattuto l’albero viene tagliato in due parti il tronco e le cime e infine ripulito da tutti i rami. L’ultima domenica di aprile, poi, fin dalle prime ore del mattino inizia uno dei passaggi più suggestivi e corali. Il tronco viene preparato per il trasporto fin dentro il paese.

Per facilitare questo compito, al tronco vengono collegati sette anelli chiodati (denominati vuccùhë) a cui si legano corde realizzate con rami attorcigliati di pruno selvatico. Così l’albero potrà ora essere trasportato con un corale sforzo che dura circa 12 ore lungo un percorso irto di ostacoli fino ad arrivare nella piazza del paese. Anche la cima dell’abete viene trasportata ad Alessandria del Carretto. Durate tutte queste operazioni c’è un contesto naturale spettacolare che fa da cornice come i canti, le musiche ed il cibo che aiuta quanti sono impegnati in questa operazione. Momenti che restano impressi in chi ha la fortuna di averli vissuti da vicino.

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L’ultima fase si compie il 3 maggio, nel giorno cioè in cui si ricorda il martirio del Santo e che per questo si celebra la sua festa anche ad Alessandria del Carretto. Qui nella piazzetta San Vincenzo la cima della “pitë” viene addobbata di tanti prodotti tipici e doni per poi essere unita al tronco. Segue la delicata operazione per issare l’albero che diventerà il tradizionale albero della cuccagna.
Al termine di questa operazione, viene suonata una campana che da il via ai festeggiamenti. Prima la messa, poi la processione del Santo ed infine la gara a chi riuscirà a scalare l’albero con la forza delle braccia e delle gambe e ad appropriarsi del bottino.
Raggiunto l’obiettivo il pitë verrà buttato giù in modo fragoroso e tutti a quel punto potranno prendere un rametto dell’abete benedetto e portarlo a casa come buon auspicio. Usanze, riti e tradizioni che rendono unica questa esperienza ad Alessandria del Carretto. (foto: web, firmate, Francesco Cariati)

info@meravigliedicalabria.it

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