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La collezione di “ori antichi” della famiglia Spadafora di San Giovanni in Fiore

La collezione di “ori antichi” della famiglia Spadafora di San Giovanni in Fiore

«Quando si parla di gioielli si pensa al lusso, al denaro, all’ostentazione; ben poco a quello che rappresentano, da millenni, a livello di cultura, testimonianza storica. Non solo di voglia, soprattutto da parte della donna, di un ornamento per se stessa. A partire dal più semplice e dall’arte primitiva, ai simboli arcaici; a credenze popolari, come quelle legate alla loro magia, persino ai “benefici” di molte pietre. E alla religione: laddove il desiderio di incoronare una Madonna durante una processione, di forgiare per lei collane, pendenti, crocifissi, diventa un dono celestiale, di nuovo un ritorno al concetto di bellezza, che non è soltanto estetico, ma ben più profondo», ad affermarlo è Monica Spadafora nell’intervista realizzata da Maria Cristina Giongo per «Il Cofanetto Magico».

La storia raccontata da Maria Cristina Giongo è una di quelle che legano la Calabria a questa nobile arte, tramandata proprio come i gioielli di madre in figlia, ma iniziamo dal principio. «Siamo in Calabria, oggi conosciuta come terra di colori e profumi, meta turistica ambita, ma negli anni in cui papà decise di portare avanti la tradizione orafa che aveva ereditato dalla sua famiglia, non era cosí. San Giovanni in Fiore si trova nell’entroterra calabrese, nella magnifica Sila; ma gli anni ‘50-’60 furono caratterizzati da una massiccia emigrazione e se devo pensare ad un colore che li contraddistingue penso al bianco e nero. Eppure papà ebbe la forza di rimanere lì e di regalare il suo colore e la sua arte a quella terra, da cui traeva continuamente ispirazione. In fondo la Calabria è stata terra di conquista nei secoli: nelle nostre produzioni di gioielli si riscontrano elementi bizantini, arbëreshë, occitani, magnogreci», prosegue Maria Cristina Giongo riportando la postfazione di Monica Spadafora del libro «Collezione ori antichi. Famiglia Spadafora, maestri orafi di San Giovanni in Fiore» descrivendo il privilegio di essere cresciuta, lei ed i suoi fratelli, «fra incanto e meraviglie». «Chiudere gli occhi e ricordarmi bambina», scrive Monica, «per me significa odore di bruciato su una fiamma che soffia su un metallo scuro, in trepida attesa che l’alchimista, mio padre, facesse la magia e quell’oggetto bruciacchiato venisse fuori da un contenitore di liquido fumante, manifestandosi nel suo colore più bello: l’oro», ha scritto la figlia del maestro orafo calabrese.

Alla domanda sul valore aggiunto del libro che raccoglie duecento anni di storia calabrese attraverso i gioielli che saranno custoditi in un museo permanente presso San Giovanni in Fiore, Monica Spadafora risponde: «proprio quel valore riconosciuto alla collezione, unica nel suo genere, dalla Sovrintendenza delle belle arti e dal Ministero dei beni Culturali, legato principalmente al numero dei gioielli che la compongono e che coprono un arco temporale di circa duecento anni. Gioielli raccolti da papà durante tutta la sua vita, perché ha sempre riconosciuto il valore storico e culturale del gioiello antico, tale da acquistarlo per sé e non rimetterlo in vendita. Attraverso questi ornamenti preziosi veniamo a contatto con spaccati di vita quotidiana della gente del mezzogiorno d’Italia vissuta un secolo e mezzo fa. Un tempo il gioiello rappresentava uno status sociale, un avvenimento importante, il matrimonio, il fidanzamento, addirittura il lutto e queste storie di vita quotidiana vengono raccontate da questo volume e, presto, dal museo che accoglierà la collezione».

L’orafo delle Madonne che incontrò Giovanni Paolo II

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Dalla collezione di arte sacra della famiglia Spadafora – Foto dell’intervistata di Maria Cristina Giongo su “Il Cofanetto Magico” Fotografia di Domenico Olivito e delle due fotografie di Hans Linsen

«Questa fu un’intuizione di papà. “L’orafo delle Madonne”. Questo appellativo gli venne dato dalla stampa calabrese nei primi anni ‘80. In particolare dopo che il 6 ottobre 1984, Papa Giovanni Paolo II, nella sua storica visita a Cosenza, nello stadio San Vito, poté benedire per la prima volta le corone realizzate da papà per il quadro della Madonna della Catena di Laurignano. Dico per la prima volta perché a quell’incontro ne seguirono altri 5 negli anni, fino al 2000. Ma quell’appellativo papà lo merita davvero perché dagli anni ‘60 ha realizzato oltre 150 corone, tra madonne e bambinelli, commissionate da parrocchie in tutto il meridione d’Italia e anche in America Latina. Seppe intercettare questa devozione popolare che si manifestava negli ex voto, quegli oggetti che rappresentavano un personale ringraziamento alla Madonna, oppure la richiesta di una grazia, che le parrocchie gli chiedevano di trasformare in oggetti che la Madonna “tota pulchra” potesse indossare durante le processioni. A ciò si aggiunge la profonda devozione di papà per la Madonna: credo che la sua mano fosse mossa davvero da un’ispirazione divina vista la bellezza delle opere che realizzava».

info@meravigliedicalabria.it

Tratto da “Il Cofanetto Magico. Tutti i colori dell’essere e dell’esistere” di Maria Cristina Giongo

Foto di copertina di Italia Gustus

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