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Il vino calabrese com’è? Nola: ti basta un calice e, quanto a risposte, sei in una botte di ferro. O di legno. Di Ferrocinto.

Il vino calabrese com’è? Nola: ti basta un calice e, quanto a risposte, sei in una botte di ferro. O di legno. Di Ferrocinto.

C’è un posto a Castrovillari (CS) e si chiama Via delle Vigne: è una strada che ad ogni stagione ti regala qualcosa. Se viaggi in auto quando l’inverno ha appena ceduto il passo alla primavera vedrai alberi di pesco fioriti sotto il Pollino innevato: rosa e bianco non sono mai stati così bene insieme. È qui che Ferrocinto coltiva un progetto di ricerca e sviluppo, all’ombra di una montagna. D’altronde, la storia dell’azienda è stata una vera scalata, dalla lavorazione della terra alle vette dei mercati internazionali.

La tenuta è un sogno ad occhi aperti: il cancello d’entrata è un sipario che si alza sulla natura e sull’eleganza, il vialetto d’ingresso è una passerella fiancheggiata dalle vigne e la passeggiata sui sampietrini porta ad un belvedere che, all’ora del tramonto, spalanca una vista su Castrovillari tutta intorno a te. Poi nella sala ricevimenti c’è una scaletta e ad ogni gradino la luce si fa sempre più soffusa: stai scendendo in barricaia, quel luogo dove i vini affinano e invecchiano e dove il metodo classico fa la magia della spumantizzazione.

Un progetto ambizioso

Oggi Ferrocinto produce circa mezzo milione di bottiglie ed esporta in Giappone, Germania e America. Ogni vino è una cartolina in giro per il mondo, perché anche ad occhi chiusi sa mostrare bellezza, quasi fossi affacciato pure tu dalla terrazza di Castrovillari e invece stai solo riempiendo un calice. Era la scommessa dei produttori quando hanno scelto di dedicarsi alla viticultura: raccontare il territorio o battere in ritirata. Ma facciamo un passo indietro insieme a Luigi Nola, presidente della Agricola Campoverde (gruppo a cui appartiene Ferrocinto): «I miei nonni avevano questa proprietà a Castrovillari, circa 140 ettari usati per il pascolo e per la raccolta delle olive», dice. Poi un cambio di rotta che, in fondo, fu una scelta d’amore: «Mia madre negli anni Settanta sposò un agricoltore», e due più due all’epoca portò ad impiantare Gaglioppo e Malvasia seguendo le direttive della DOC Pollino. «Era un progetto ambizioso: mio nonno aveva regalato al comune la cantina per farne una cantina sociale e mettere insieme sotto lo stesso “tetto” una serie di piccole produzioni». Il progetto, però, non andò in porto e allora si decise di continuare a lavorare in vigna ma solo per conferire le uve ad altre aziende. Eppure, anche quando un sogno cade, ci pensa la vita a rialzarlo. È qui che entra in scena Luigi: fresco di studi in Giurisprudenza a Parma aveva scelto di non dettare legge (si fa per dire) ma di mettersi al servizio dell’azienda. Tornò a casa e, grazie al confronto col suo mentore dell’Università di Palermo, capì che Gaglioppo e Malvasia non erano state le scelte più azzeccate per il territorio. Cambio: vengono reimpiantati i vitigni (quelli della DOC Terre di Cosenza sottozona Pollino che, nel tempo, era stata rivisitata), il Magliocco in primis, e sorge la cantina con l’aiuto di Marco Monchiero, enologo piemontese innamorato del Pollino al punto da sposare la causa Ferrocinto e restare qui sette anni. Stefano Coppola, poi, ha preso il testimone. Dopo la cantina, la costruzione della bottaia (dove un tempo c’erano i fienili dei nonni) e poi l’intuizione dell’hospitality.

Turismo, sperimentazione e sostenibilità

Non solo banchetti: Ferrocinto ha adibito uno spazio degustazione proprio vicino alle botti: un piano rialzato con due vetrate che affacciano sui vigneti come un binocolo a inquadrare il territorio e, nel contempo, conoscere i prodotti tipici. Ferrocinto, insieme al Consorzio Terre di Cosenza DOP di cui Nola è vice-presidente, punta tutto sull’enoturismo, e rien ne va plus: «La Calabria – spiega – è stata per lungo tempo convinta di dover esportare. Ci stavamo sbagliando, soprattutto laddove non si producono grandi numeri. Dobbiamo giocare in casa, puntare sull’incoming, essere attrattivi qui e dare al visitatore l’opportunità di fare una bella esperienza dal punto di vista dell’accoglienza, dalle infrastrutture ai prodotti locali».

Se dovessimo riassumere la filosofia dell’azienda basterebbero due parole: sostenibilità e sperimentazione. L’azienda, infatti, lavora completamente in biologico con impianti fotovoltaici per la cantina: «In più – aggiunge Nola – tutto quello che produciamo lo auto-consumiamo mediante stoccaggio delle vinacce all’interno di impianti di biogas».
E poi c’è il campo sperimentale: «Insieme all’Università di Palermo abbiamo selezionato cento accessioni di vitigni abbandonati per studiarne il DNA. Molti sono sconosciuti e non registrati. L’idea è dare al territorio altre varietà che amplino la viticultura regionale».

Il vino che preferisce è “Serra delle Ciavole”, l’Aglianico che fa legno, ma il cuore di Nola non può che battere pure per il Magliocco (l’azienda è stata tra le prime a vinificarlo in purezza, lo sapevi?). Molte etichette sono un omaggio al Pollino e alla geografia locale, quasi uno specchio in cui leggere e ritrovarsi. D’altronde, se ti poni la fatidica domanda: «Ma il vino calabrese com’è?», ti basta un calice e, quanto a risposte, sei in una botte di ferro. O di legno. Di Ferrocinto.

di Rachele Grandinetti

info@meravigliedicalabria.it

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