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Il sushi parla calabrese

Il sushi parla calabrese

Si può parlare di una cosa anche senza nominarla. Ad esempio, se dico «all you can eat» a cosa pensi? Io lo so e vedo già rotolare hosomaki come se non ci fosse un domani. Oggi si ordina sushi come si è sempre ordinata la pizza. Il boom del food delivery in pandemia, poi, ha dato (pure) un colpo di acceleratore al consumo di cucine esotiche a casa. Ma il sushi se la cavava bene già prima e oggi l’Italia è il Paese in Europa in vetta alla classifica per consumo di sushi. Sì, proprio noi che da sempre portiamo alto lo stendardo del Made in Italy e della dieta mediterranea abbiamo ceduto al canto orientale delle sirene. C’è chi dice sia una moda. Per altri, compresa la sottoscritta, una vera «droga». Ma mangiare oltreconfine vuol dire rinnegare le proprie radici? Che direbbe mia nonna se mi vedesse preferire un pezzo di sashimi di salmone ad una polpetta di maiale? La verità è che il mondo è bello perché è vario, e la cucina pure. E se in medio stat virtus, forse la ricetta che mette d’accordo la sushi-generation con i nostri nonni è la declinazione territoriale di una gastronomia esotica. Vale a dire: può un giapponese parlare calabrese?

Ebbene sì. Si chiama nippo-calabro ed è il nuovo trend «giù» da noi, ovvero: il lato più casereccio della cucina fusion. Fusion è quella parola inglese che si riferisce alla «fusione» intesa come mettere insieme, fondere. Dietro ai fornelli (si fa per dire, perché poche cose nei ristoranti giapponesi toccano il fuoco), indica una tradizione culinaria che, grazie ad ingredienti forestieri, dà vita a ricette, piatti e sapori nuovi. Significa far convivere la salsa di soia con la ‘nduja di Spilinga, il wasabi con le melanzane, le alghe con la cipolla di Tropea, lo zenzero col butirro. E funziona.

In cucina dal local al glocal

Alcuni storcono il naso in nome della grande tradizione ittica della nostra regione che sa di stocco, pesce spada e gambero viola, tanto per citarne alcuni. Ma questo è un altro racconto e non sminuisce quella storia gastronomica. Semplicemente fa il passo dal local al glocal: vuol dire impegnarsi per valorizzare l’identità, le tradizioni e le realtà locali ma guardando verso un orizzonte di globalizzazione. Nota bene: non omologazione ma respiro interculturale. E a respirare bene si sentirà un mare di profumi. Il primo a colpire il naso è sempre la pungenza del peperoncino. Perché le ricette nippo-calabre, nella fusione, puntano sui prodotti più rappresentativi del territorio, soprattutto nell’immaginario comune. Ché non è vero che giù da noi si mangia quotidianamente piccante da drago lancia-fiamme ma chi non associa l’immagine di un peperoncino rosso alla Calabria? Non abbiamo bisogno dei posteri per l’ardua sentenza.

La ‘Nduja con le bacchette

È il momento di metterci a tavola. Quindi, se volessi mangiare giappo-calabrese, cosa devo aspettarmi nel piatto? Ravioli al vapore con suino nero di Calabria, dorayaki con il fagiolo poverello di Mormanno, yaki-meshi con cipolla di Tropea, gyoza con lo zafferano di Castiglione. E se dico I futomaki calabresi? Si tratta di rotolini di alga nori con riso aromatizzato alla ‘nduja di suino nero ripieno di capocollo e caciocavallo silano. E ancora i nigiri con caprino fresco, pancetta di suino nero e ricotta affumicata, gli hosomaki con funghi porcini, ‘nduja e carote avvolti nel pangrattato e cipolla di Tropea tostata, i roll con filetti di melanzane, tonno, ‘nduja, mousse di cipolla di Tropea, gli uramaki con patata dolce della Sila, burrata, gambero rosso crudo, gambero cotto e avocado. È un menù così contaminato che ti scoprirai a googlare «morzello giapponese» senza che scatti un antivirus.

E se l’armonia a tavola si realizza nel matrimonio tra cibo e vino, in questo caso no al fusion, sì all’autoctono. I profumi del nostro Greco Bianco, di un Mantonico affinato in legno o di un Gaglioppo rosé sapranno accompagnare una cucina di pesce spinta su una tradizione dal palato intenso.

Parliamo sempre di una promozione territoriale capace di passare anche attraverso l’enogastronomia. A un certo punto ci sarà stata un’osmosi: abbiamo portato i sapori calabresi in giro per il mondo e alla fine un po’ di mondo è finito pure nei nostri piatti. Non lo so se conta più la meta o il viaggio perché, in realtà, contano sempre le radici. E se soffia un vento forte da Oriente daranno frutti nuovi senza snaturarsi mai. D’altronde, in cucina succedono sempre cose bellissime visto che con pochi ingredienti prende forma tutto quello che puoi immaginare: all you can dream.

di Rachele Grandinetti

info@meravigliedicalabria.it

Foto di copertina di Bottega di Calabria

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