Il museo agro-pastorale di Bova: un viaggio nella memoria

di Roberto De Santo
Una sorta di macchina del tempo alla scoperta delle origini della civiltà contadina della Bovesìa. E non solo. Uno spaccato dell’economia agropastorale che ha garantito sostentamento a generazioni di popolazioni che hanno popolato per secoli quel lembo di territorio calabrese che ha genesi nella notte dei tempi. Ed ha visto i suoi splendori nell’epoca ellenistica di cui è impregnata l’intera cultura locale lasciandone tracce vive fino ai giorni nostri. Entrare nel “Museo Agro-pastorale dell’area ellenofona” di Bova Marina è un viaggio emozionale in quel tempo che fu ma che rappresenta le ragioni dell’essere attuale. Una dedica alla memoria per non dimenticare da dove si proviene e così facendo comprendere la direzione verso la quale la cultura, la storia, l’economia e la civiltà complessiva della zona si è indirizzata.
I tesori della civiltà locale



All’interno del Museo – collocato al piano terra dell’Istituto regionale superiore di studi ellenofoni della Calabria (Irssec) – sono custoditi circa 300 manufatti che venivano utilizzati per svolgere le principali attività svolte nell’area grecanica. Bova d’altronde è considerata la capitale della cultura greca di Calabria e a lei deve il suo stesso nome (Χώρα του Βούα) ed è qui che affondano le basi di antichi mestieri che fin dagli albori venivano svolti dalla popolazione locale. Un rapporto diretto tra uomini e natura, un’alleanza che ha permesso a chi viveva in questa zona estrema del Meridione d’Italia di trarne giovamento. Ma solo a costo del duro lavoro nei campi.
Osservare da vicino quegli strumenti – semplici ma al tempo stesso vigorosi – permette di percepire la fatica di quegli uomini e quelle donne che li hanno utilizzati. Una ritualità del quotidiano immortalata da fotogrammi riportati nei pannelli che accompagnano la visita all’interno del museo.




Una mappa per capire in modo ancor più approfondito chi e soprattutto come vivevano le persone al tempo – ormai lontano – in cui il lavoro manuale nei campi e nelle botteghe era prevalentemente svolto da mani esperte. Saperi tramandati da generazioni da padri e madri ai figli, da maestri artigiani ai loro apprendisti. Momenti congelati in una sorta di bolla temporale che è la raccolta – voluta negli anni ’70 dal meridionalista Pasquino Crupi e dall’iconografo Domenico Candela – di manufatti presenti ora nel Museo di Bova Marina.
Ed è qui che sono stati anche riprodotti angoli della vita vissuta tra l’Ottocento e il Novecento. Fotogrammi di quel mondo a cui tutti dobbiamo le origini: a Bova infatti è custodita una delle collezioni etnografiche più antiche di Calabria. Così si possono vedere da vicino stampi in legno per tegole e mattoni, ma anche utensili delle cucine antiche, chiavistelli o accessori di carpenteria.
Oggetti reali di un tempo trascorso.
Tra musulupare e tecniche di estrazione del bergamotto


E poi ci sono gioielli per realizzare il prodotto più caratterizzante della cultura enogastronomica locale: le musulupare. Le forme in legno di gelso intagliato per realizzare la Musulupa, formaggio tipico (fresco e non salato) prodotto nell’area grecanica in provincia di Reggio Calabria. Un formaggio a forma antropomorfa o a disco e consumato ritualmente specie nel periodo di Pasqua. Come anche lo strumento – tecnologico per i tempi – usato per estrarre l’olio essenziale di bergamotto. Una rivoluzione industriale per una procedura che – prima dell’introduzione di questa macchina inventata a Reggio da Nicola Barillà nel 1844 – si basava esclusivamente su duro lavoro degli spiritari. Erano loro che con coltelli e spugne ricavavano dalle bucce del bergamotto l’essenza per i profumi più pregiati.
Manualità, saperi, lavoro e in definitiva lo spaccato di un mondo antico custodito nello scrigno che è il museo Agro-pastorale di Bova.
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