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Gammune: l’antica storia del salume delle colline di Belmonte

Gammune: l’antica storia del salume delle colline di Belmonte

di Roberto De Santo

Sapori di un tempo passato che intrecciano produzioni di qualità con una storia antica. Fatta di allevamenti quasi scomparsi, di preparazioni artigianali affidate alle sapienti mani e ad una lunga e paziente stagionatura. Il gammune di Belmonte Calabro, presidio slow food dal 2011, racchiude in se tutte quelle caratteristiche che lo rendono unico nel genere.

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Si ha memoria di quella preparazione di insaccato – simile al culatello – fin dall’Ottocento quando nelle colline che sovrastano la cittadina del Tirreno cosentino era diffuso l’allevamento dei suini neri di Calabria.
Allevati liberi nei boschi ricchi di faggi, castagni e querce, quei capi garantivano gustose carni di qualità. Le famiglie contadine che popolavano le colline grazie ai suini neri potevano contare su riserve di carne per il sostentamento dell’intera famiglia durante tutto l’anno. Un’alta qualità delle carni legata anche ad una alimentazione corretta fornita ai maiali neri e costituita da ghiande, tuberi, castagne, con un’integrazione di cereali di produzione locale e ortaggi.

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Poi con l’avvento di altre specie (large white e il landrace, o lo yorkshire) – maggiormente remunerative – quegli allevamenti progressivamente sono andati quasi estinguendosi e con essi anche quella produzione d’eccellenza marcatore identitario di una comunità.
Fino al recupero portato avanti soprattutto da Mario Arlia, un produttore e riscopritore del gammune di Belmonte. Così da oltre un decennio ora quell’insaccato è divenuto presidio slow food ed è sinonimo d’eccellenza non solo in Italia.

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La partecipazione a varie fiere internazionali ha permesso al gammune di essere conosciuto anche fuori dal Paese. Quel nome lo deve dallo spagnolo jamón, adattato poi al dialetto locale. Anche se va detto che gamba in dialetto locale si traduce in “gamma” dunque molto simile a “gammune”.

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Come da tradizione la sua preparazione avviene disossando la coscia del maiale, facendo la massima attenzione a non intaccare la carne e i nervi e lasciando due dita di grasso intorno. La carne viene quindi salata e aromatizzata con salsa di peperone, che un tempo era prodotta in casa dalle massaie.
Il gammune poi si insacca nella vescica del suino o nelle pleure staccate dal grasso, in alternativa, si cuciono tra di loro pezzi di pleura e vescica in modo da formare una sacca.
Poi quel prodotto asciuga e stagiona nelle cantine delle case belmontesi per almeno 16 mesi. «La brezza marina proveniente dal mare – come viene descritto sul sito dei presidi Slow food – perfeziona la stagionatura del gammune e lo rende unico».

info@meravigliedicalabria.it

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