Castrum Petrae Roseti, storia e leggende attorno al maniero di Roseto
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di Roberto De Santo
Leggende e storia avvolgono questo borgo. Una caratteristica che lo rende unico per il fascino che promana assieme alle bellezze del suo territorio. Una bellezza che deriva già dal toponimo identitario di un luogo dedito ad una delle colture più delicate e sinonimo di splendore. Roseto Capo Spulico deve il suo nome infatti all’antica coltivazione di rose che fin dai tempi magnogreci qui si svolgeva.
Il legame con Sibarys
Era tra le venticinque colonie della Magna Grecia che ruotavano attorno al dominio della potente Sibarys i cui abitanti, si dice, da Roseto attingevano le rose per riempire i guanciali delle loro nobili donne. Alcuni scritti riportano che in questo territorio per le condizioni ottimali in cui sorgeva la città si praticava la coltura intensiva delle rose anche nei periodi invernali.
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Leggende e storia, dicevamo, che data la fondazione della città all’arrivo degli Achei in questo lembo di territorio dell’Alto Ionio cosentino attorno al VII secolo a.C.. Furono loro a realizzare anche un tempio dedicato a Venere sulla roccia a picco sul mare che domina la costa. Un luogo sacre che è rimasto tale per millenni.
Il promontorio sacro sito del maniero normanno
Con l’arrivo dei monaci bizantini di rito ortodosso – secoli dopo – su questo sito realizzarono il loro monastero basiliano e restò sotto la loro custodia fino a quando, con la conquista dei cavalieri normanni, la città così come questo promontorio finì nelle loro mani.
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Nel X secolo d.C. Roberto il Guiscardo, Duca di Puglia e Calabria e Signore di Sicilia, edificò tra il 1058 ed il 1085 il nuovo borgo sotto il nome di Castrum Roseti. E il promontorio di Cardone dove sorgeva l’antico monastero bizantino fu trasformato nella sede del possente castello della Pietra di Roseto (Castrum Petrae Roseti). Una postazione strategica sia per difendere il borgo dall’assalto di eventuali incursori via mare, ma anche perché fu la linea di confine tra le contee normanne divise tra i fratelli Roberto il Guiscardo e Ruggiero. È l’età d’oro della cittadina che proseguì anche sotto il dominio dell’imperatore e re di Sicilia Federico II di Svezia che dedicò una particolare attenzione a questo territorio.
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Fu per volontà dell’imperatore del Sacro Romano Impero – passato ai posteri con l’appellativo di “Stupor mundi” – che il maniero risorse a nuova luce. Nel XIII secolo, infatti, il castello fu requisito ai cavalieri Templari – che ne avevano fatto un loro Tempio dell’Ordine – e riadattato nel puro stile federiciano a fortezza dei suoi possedimenti. E il legame con questo luogo mistico restò indelebile nella volontà dell’imperatore tanto che lo volle dare in eredità ai suoi figli legittimi separandolo dal resto del territorio di Roseto che andò, per testamento, a suo figlio naturale Manfredi.
Le leggende sacre attorno al castello federiciano
Attorno alla storia del Castrum Petrae Roseti si annidano anche leggende. Una tra tutte è decisamente piena di fascino. Sembra che all’interno delle sue mura nel periodo federiciano siano state custodite le reliquie più sacre dell’intera cristianità: la Sacra sindone e le Sacre bende. E forse anche il Santo Graal. I tessuti che avvolsero il corpo del Cristo dopo la sua crocifissione. Stando a quella ricostruzione, l’imperatore ottenne quelle reliquie dopo il saccheggio di Bisanzio (Costantinopoli) ad opera dei crociati nel 1204.
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Sarebbero stati proprio i Templari a custodire quei sacri oggetti di cui poi Federico II si appropriò e li custodì per un tempo anche nel castello di Roseto Capo Spulico. A ricostruire questa vicenda furono le principesse Yasmin e Kathrin Von Hohenstaufen, discendenti dirette di Federico II di Svevia, che nel 1999 sostennero di aver scoperto negli archivi delle cappelle di famiglia un documento di epoca normanna secondo il quale la Sindone, le Sacre Bende (Sindone et Sudario Christi) e l’Onfale (Loculo Ubi Christi Cenavit) contenente il Santo Graal, sarebbero anche transitati proprio dal Castello di Roseto Capo Spulico.
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Ad avvalorare quella tesi, come riportano alcuni scritti, ci fu una scoperta quasi casuale. Durante i lavori di ristrutturazione all’interno del castello di Roseto venne rinvenuto una palla di forma ovale con i simboli dei templari della Corce, del Giglio e dell’Agnello mistico dove sarebbe stato custodito la coppa del Sacro Graal. Si tratta del calice che, secondo la leggenda, Gesù utilizzò nell’ultima cena con i discepoli in occasione della quale istituì Eucarestia. Una reliquia quest’ultima di cui da millenni si sono perse le tracce e che incrocia la storia reale di un luogo che anche per questo conserva tutto il suo alone di mistero e fascino. Così come l’intero territorio insignito ancora una volta per la sua bellezza della Bandiera Blu. (Foto: Giuliano Guido; copertina: pagina fb)
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