Dentro la storia: l’ebraismo in Calabria nelle testimonianze d’archivio

La storia oltrepassa ogni tempo, lo definisce. E il tempo della storia, delle storie, delle vite vissute, ci raggiunge grazie alla conservazione di preziose testimonianze, come quelle custodite dall’Archivio di Stato di Cosenza che, in occasione della giornata europea della cultura ebraica, ha raccontato la storia di Lea. Lo ha fatto in maniera autentica, attraverso i documenti del Fondo Notai e di quello delle Corporazioni religiose. “Lea -raccontano le pagine dell’ Archivio- è ebrea, sola con due bambini, Raffaele e Gioia, deve andare via dalla Calabria perché Ferdinando d’Aragona ha deciso di cacciare tutti gli Ebrei dal Regno. È il 1511. Un passato agiato con una bottega molto ben avviata, ma, all’improvviso, la lunga malattia del marito e poi la morte, la chiusura dell’attività, i debiti e alla fine l’esilio; perché per gli Ebrei il Regno di Napoli è la patria e quando arrivano in una nuova terra fondano templi chiamandoli “Calabria” anche se ti hanno trattato da straniero. Lea va da un notaio e sceglie di saldare i suoi debiti, cedendo l’abitazione in cui ha vissuto per anni; decide di venderla e di partire senza rinnegare la sua fede. Il notaio Luigi, che in quei giorni vede passare molti Ebrei nel suo “studio”, la definisce “discreta mulier”; non è un appellativo che usa di frequente perché le altre sono “honestae”, gentili, garbate. Lea è “discreta”, è dotata di giudizio, anche se il diritto vuole che sia assistita dal fratello. Non sappiamo che ne è stato della sua vita, ma di certo avrà celebrato un ultimo rito nella sinagoga, dato l’estremo saluto alla tomba del marito, a due passi da quella che era la sua casa e dove in un terreno affacciato su un burrone erano sepolti tutti i membri della sua antica comunità. Una metafora della sua vita sospesa su un baratro. Forse è partita per la Grecia o forse per l’Africa, ma proprio no, non è riuscita a dimenticare la religione degli antenati e va via”.
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