Da Tokyo a New York, il boom della cucina calabrese nei ristoranti internazionali
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I calabresi sono ovunque. Te ne accorgi al ritorno da ogni viaggio quando ti capita di parlare con qualcuno alla fermata di un autobus, con il cameriere di un ristorante o con l’infermiere in un ospedale per scoprire che vivono fuori o che i genitori hanno origini nel profondo Sud, anche se non lo diresti perché ormai l’accento li tradisce. Ma il cuore mai: il cuore è sempre a casa.
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Nelle grandi città italiane e in giro per l’Europa, tra seconda generazione di immigrati e cervelli in fuga c’è una “Little Calabria” che lavora e porta per il mondo un pizzico di calabresità. Succede perché è impossibile vivere una festa senza raccontare certe tradizioni (“quando ero piccolo da me…”) o mettersi a tavola e non sognare ad occhi aperti i menu più tipici (irresistibile scivolare su racconti di pranzi epici durati più della finale di Sanremo). Siamo tutti, in fondo, piccoli ambasciatori della nostra terra – anche quando siamo costretti a lasciarla – e vorremmo che ovunque si sapesse quanto è blu il mare, quanto verde c’è su in montagna, quanta meraviglia e lentezza si respirano nei paesini. Poi, ovviamente, quanto è ricca e invitante la cucina. Così invitante che se ne sono accorti pure i palati oltreconfine e, adesso, non possono più farne a meno.
Pastachina nella City
Non parliamo semplicemente della dispensa di casa dove c’è il reparto destinato al “pacco da giù” ma dell’alta ristorazione quella che, a suon di profumi e sapori, ti fa toccare un cielo con un dito, fino alle stelle. Succede a New York, da “Marea” (nominato miglior nuovo ristorante da Bon Appétit e dagli James Beard Award, miglior ristorante italiano di NY da Zagat e ricevuto tre stelle dal New York Times,) dove in carta si trovano ‘nduja e peperoncino calabrese (calabrian chile).
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Succede pure a Londra dove lo chef Francesco Mazzei (originario di Cerchiara, in provincia di Cosenza) portò nel ristorante “L’Anima” la “pastachina” (un primo a base di crespelle, carne e verdura) divenuto subito piatto favourite sia tra gli italiani nostalgici del Belpaese, sia tra gli inglesi aperti a nuove, lontane scoperte. Nemmeno nei suoi menù manca la ‘nduja, irrinunciabile su pasta e uova strapazzate, e altri sapori Made in Sud che lo chef sceglie quando torna a casa e porta oltre Manica per diffondere il Mezzogiorno ad altre latitudini. Quando nel 2015 si concluse l’avventura con L’Anima, Mazzei passò alla guida della “Sartoria”, nel cuore di Mayfair, finedining all’italiana dove i piatti calabresi giocano un ruolo da protagonista a suon di tortelli con ‘nduja, broccoli e nocciole o maiale nero e crema di Verdello di Rocca Imperiale.
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Ma la Calabria è presente anche in bistrot, pizzerie e gastronomie che propongono prodotti tipici come formaggi, salumi, conserve e liquori. Sempre a Londra, nel famoso Borough Market c’è l’angolo “De Calabria” con cassette piene di soppressate, formaggi, olio d’oliva, pomodori secchi e miele, ovvero: “delicacies from the toe of Italy”.
Oui, je suis calabrese
Calabria tutta intorno a te anche nella Ville Lumière dove nel ristorante “IDA”, Denny Imbroisi si fa ambasciatore delle nostre tradizioni: insomma, piatti che raccontano l’Italia e il Sud ma con un accento francese. La sua carbonara, tanto per dirne una, è stata nominata dal quotidiano “Le Figaro” come “la migliore di Parigi”.
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Paese che vai, ricordo di Spilinga che trovi, perché anche qui non manca sua maestà spalmabile interpretata dallo chef originario di Belvedere Marittimo (CS) in un polpo grigliato con ‘nduja calabrese.
Alla conquista del Sol Levante
La nostra cucina ha profumi e gusti così intensi che si sentono anche dall’altra parte del mondo. A Tokyo, ad esempio, dove “Elio Locanda italiana”, aperto da Elio Orsara (imprenditore di Cetraro, in provincia di Cosenza) dagli anni Novanta racconta al Sol Levante di fichi e bergamotto, di ‘nduja e funghi della Sila, di crespelle e stracotto al nerello di Calabria.
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Poche cose come il cibo hanno la capacità di farti viaggiare, trasportarti altrove a respirare profumi e nuove atmosfere. Così, ogni boccone è un racconto e la lingua sarà pure diversa ma il palato capisce il calabrese anche dall’altra parte del mondo. È la meraviglia della contaminazione, è il lavoro di chi mette le mani in pasta per creare ponti. E un mondo più buono. (Rachele Grandinetti)
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