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Costa Viola: tra storia, miti e leggende

Costa Viola: tra storia, miti e leggende

La Costa Viola, così chiamata per il bellissimo colore delle sue acque, è tra i più suggestivi paesaggi marini che offre la Calabria: il suo “territorio” inizia dalla Tonnara di Palmi ed arriva fino alla rupe di Scilla lungo il litorale tirrenico. Le ripide dorsali del Massiccio dell’Aspromonte da cui è dominata, precipitano direttamente in mare: alti fino a 700 metri, i crinali sono interrotti solo da fratture geologiche e canaloni dove d’inverno scorrono impetuosi torrenti, le fiumare.
La fitta macchia mediterranea con la gariga di finocchio selvatico, di origano e con le distese di ginestre, ricoprono le pareti a strapiombo, modellate a gradoni sorrette dalle “armacìe”, frutto del lavoro secolare dei contadini. In mare, gli scogli assumono le forme di orso, di elefante o di leone marino, numerose le grotte e magnifici i fondali con le meravigliose distese di Posidonia.

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Rivolgendo lo sguardo verso il mare, si possono ammirare le Isole Eolie, sulla soglia dell’orizzonte, al limite fra l’immagine e il mito. Sul mare si scorgono delle barche, quelle caratteristiche per la pesca del pesce spada, ma la storia di questa terra e delle acque su cui si affaccia, brulica di navi. Quelle che seguivano la rotta dell’ossidiana, nella preistoria lontanissima, per tanti aspetti ancora assai vicina, forse quei marinai si riposarono rifocillandosi nella vicina grotta di Trachina.

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E i miti di Ulisse e Oreste, e ancora le navi fenicie e quelle di Cartagine; le bellicose navi lunghe romane e successivamente le flotte delle onerarie che durante le età romana imperiale e poi bizantina percorsero la rotta marittima dell’annona.

Davanti alle “Pietre delle Navi” sul pianoro di San Fantino, si erge in tutta la sua bellezza la “Torre normanna di Pietrenere” (nella foto), ma nell’antichità fu comunemente chiamata dal popolo “Torre di San Fantino”. Questa torre di avvistamento fu restaurata intorno al 1565 dal Conte Sinelli per proteggere il territorio di Taureana e le Città di Seminara e Carlopoli dalle incursioni dei pirati.

Il Mito di Donna Canfora

Tra le leggende che si raccontano di questi posti degna di attenzione c’è quella descritta da Antonio de Salvo in “Metauria e Tauriana”.

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La tradizione ci  narra che Donna Canfora era una donna di straordinaria bellezza. Se ne era estesa la fama. Alcuni corsari, volendola rapire, vennero alla spiaggia sottostante con una barca carica di fini e ricche mercanzie e di oggetti rari di smercio. Le rare mercanzie attiravano molta gente e anche donna Canfora, accompagnata dalla propria fantesca, vi andò a fare compere, benché ne fosse distolta da un triste presentimento che proprio quel giorno le si era cacciato nell’animo.La causa probabile fu, per un cigolio lamentevole prodotto dal girar veloce di un arcolaio, attorno a cui trovatasi a dipanare matasse di lana. Come fu presso ai mercanti, questi la rapirono e subito salparono dal lido, non senza sanguinosa lotta con la gente che era accorsa in aiuto della bella Canfora: la quale, vedendosi già perduta, chiese in grazia ai corsari di essere lasciata un poco libera sulla poppa della nave a poter vedere per l’ultima volta il suo paese nativo; e ciò concessole, non appena si vide libera, si buttò in mare e affogò.

Navigando verso Sud

Navigando lungo la costa in direzione sud, si attraversa la costa della Tonnara, al termine della quale svetta imperioso lo Scoglio dell’Ulivo, sulla cui sommità, ormai da tempo immemorabile cresce un albero di olivo selvatico (Agliastro).
Dietro lo scoglio, protetta dalla naturale scogliera che ne vieta l’accesso, una piccola spiaggia che prende il nome della zona “Trachina”.
Nella costa soprastante la spiaggia, nascosta dalla vegetazione si trova la Grotta di Trachina, dove vi sono i segni del passaggio umano dai tempi preistorici.

I dolmen di Palmi

Di questi luoghi scrive Antonio De Salvo “Da Palmi e dal suo Sant’Elia”. «Quasi a picco sul mare si ammira una grande casa nobiliare semidistrutta; si tratta di casa Oliva. Nei pressi si trovano tre naturali rialzi di roccia calcarea, che sempre furono denominati Triari (anche lo sperone sul mare anticamente veniva chiamato “Capo Triari”), si osservano tuttora quatto grossi e alti massi calcarei, disposti a dolmen, con tre di essi drizzati verticalmente a triangolo, e l’altro più largo a piatto, posato su di questi, all’uso celtico, da lasciare al disotto, lo spazio per potervi inumare un uomo. A ciò si accompagna il ritrovamento, sotto un gran sasso calcareo, di mezzo cranio schiacciato, con mezzo mascellare inferiore di cervo, e il tratto della radice del corno, e spezzoni di ossa lunghe semi fossilizzate, forse resti di offerte votive».

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Continuando il percorso, incontriamo la spiaggia della Pietrosa (nella foto, in alto). Essa ci ricorda lo scrittore Leonida Repaci che proprio in cima alla scogliera aveva la sua residenza, immersa tra gli ulivi e i cipressi, in cui viveva insieme alla moglie Albertina nei mesi estivi. Repaci può essere considerato uno dei narratori più importanti del novecento. Questo nostro grande scrittore in “Calabria grande e amara” così scrive: «[…] Qui la calma e la bellezza dell’ulivo che si specchia nel viola del mare con le sue foreste resta nel ricordo con una dimensione omerica, come se a fondare queste cattedrali di ulivi che respingono la luce del sole, solo permettendo alle felci arboree di crescere tra tronco e tronco, fossero stati giganti o eroi del mito, non piccoli uomini qualunque». 

Porto Oreste

Passata la Pietrosa, vediamo la spiaggia di Buffari che significa porto, in greco antico; poco più avanti siamo sotto la località “Colonna” che certamente nel nome ricorda i ruderi nella mitica città di Porto Oreste citata da diversi autori, ma che forse non è mai esistita. «Il nome di questo porto si riferisce alla eroica tradizione del figlio di Agamennone, il quale reso furibondo per aver ucciso la madre Clitennestra, era ammonito dall’oracolo che per liberarsi dalle furie che lo agitavano, doveva prima trovare la sorella e poi purificarsi in un fiume che da sette altri fiumi o sorgenti prendeva le acque. Rinvenuto dunque in Tauriade (Tauriana, così chiamata da Plinio secondo seniore) dopo aver vagato per molte regioni, trovò nel confine de’ Reggini il fiume dall’oracolo designato; nel quale purificatosi, restò libero da’ furori che lo travagliavano.» Questa favolosa tradizione tramandataci dagli antichi scrittori, con l’indicazione geografica dei sette rami del mentovato fiume, hanno guidato i topografi dell’antichità a trovare nel Metauro (oggi Petrace) il Fiume di cui il mito e, con esso, il Porto Oreste o Rovaglioso, tra le rovine di Taureana. (N. Corica “Brezza” anno…cap. 17 parag. 25 “Portus Orestis”).

Nel pianoro soprastante la scogliera di Rovaglioso, si scorgono ancora i ruderi di una cappella gentilizia consacrata alla Vergine Madre di Dio sotto il titolo di S.Maria di Porto Oreste, di proprietà del nobile filantropico e religioso Ludovico Iannelli, eretta nel 1797. Ne fa fede una lapide di marmo murata nella parete sinistra della cappella come racconta G. Silvestri Silva, anno 1886. «In fondo alla medesima cappella si ergeva un altare con colonne doriche sul quale faceva mostra di sé un quadro maestoso dipinto ad olio raffigurante la Madonna di Porto Oreste. La Madonna era in piedi, con le mani giunte, tra un’aureola di nubi, in atto di ascendere al cielo; a sinistra stava san Rocco e alla destra san Francesco entrambi genuflessi in piena adorazione; nella parte inferiore del quadro si ammirava uno squarcio del sublime paesaggio di Portus Orestis soprastante l’insenatura del mare sopra cennata la cui prima fila dei palagi si mostrava sulla roccia quasi a picco sul mare e tra questi spiccava imponente un’alta torre merlata e un tempio.»  (Silvestri Silva, 1981).

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La spiaggia di Pietrenere

De Salvo sempre in “Palmi dal suo San’Elia” scritto nel 1939, racconta la visita dei reali Savoia: «S.M. il Re Vittorio Emanuele III venuto a soccorrere e visitare magnificamente questa sventurata Palmi, nella mattina del I aprile 1909 (a seguito ai disastri del terremoto del 28 dicembre1908) essendo sbarcato all’approdo della calanca di Rovaglioso, già Porto Oreste, nello spingere istintivamente i suoi sguardi per l’orizzonte, verso Pietrenere, esclamò “altro che Sorrento!»

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Continuando il nostro percorso costiero, passiamo davanti a “Pietra Santa” e “Capo Barbi”, chiamato dalla gente del luogo “mussu i Prita” o “scogghiu i Prita”, che costituisce il vertice dell’angolo ottuso, sporgente, della conformazione della costiera, e rientra in una agevole insenatura e calanca, con una proda naturale, interna (riparata dai venti di libeccio e di ponente) in una angusta grotta, a fior d’acqua, ai piedi di un alto e orrido precipizio chiamato Sirena. Più avanti “la Motta” un’alta rupe (circa 130 metri sul mare)

La Marinella

La Marinella è la spiaggia dei Palmesi. In passato fu utilizzata soprattutto come porto, poiché servì per svolgere le attività marinaresche e di commercio, della “Cittadella” (primo nucleo della città di Palmi).

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Caratterizzata da una meravigliosa scogliera, con acque dolci affioranti e profumate di alghe marine. «[…] la Marinella di Palmi, che è piuttosto ciottolosa, ma di agevole approdo, con caseggiato, e alquanto incavata nella molto elevata conca rocciosa, fra il promontorio altissimo del Sant’Elia, e la rupe della Motta.» (A. De Salvo, 1939). Questa località include la zona Corona-Aulinas e la Chiesa della Corona come confermato dall’enciclica pontificia di Celestino III del maggio del 1192.

Arcudaci

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La punta di Arcudaci, o Arcuraci è la parte del Monte Sant’Elia che si immerge a strapiombo sul mare della Marinella. Antonio De Salvo dà l’interpretazione classica al nome, cioè a piè di esso, ai piedi del monte. Nella tradizione locale il nome “Arco di Aiace”, evoca una avventura del leggendario Aiace eroe greco della battaglia di Troia, che secondo la leggenda navigando verso le Isole, fu sorpreso da un fortunale. Spinto dalla furia del mare, trovò riparo negli anfratti della Marinella, già allo stremo delle forze, si mise in salvo issandosi sugli scogli con l’aiuto del suo arco.

Pietra Galera

È la prima insenatura, dopo la Marinella. Il nome ricorda i tempi delle cruente invasioni saracene. Si racconta che in questa spiaggetta, non lontano dalla strada di accesso alla Cittadella, ma abbastanza nascosta da non essere veduti, i saraceni tenessero prigionieri catturati nelle loro scorrerie, in attesa del riscatto.

La fontana “Acqualivi” e la Pietra del Drago

La fontana oggi non esiste più ma rimane un’antica storia: «In tale epoca, giusto come rilevasi da un’antica tradizione, tramandata fino a noi, i corsari, venuti nuovamente alla marina di Palmi, vi sbarcarono in numero considerevole, e contro questa terra, benché munita, si avanzarono minacciosi per l’erta, avidi di saccheggio. A metà strada, oppressi dal calore, si accamparono presso la fontana dell’Acqua degli ulivi, all’ombra degli alberi per riposarsi e prender lena; colà alla sprovvista, disarmati e dormenti vennero assaliti dai cittadini con tale impeto che in gran numero rimasero uccisi, pochi si salvarono con la fuga prendendo di nuovo il mare; il loro capo a nome Dragut, cadde al suolo gravemente ferito, i cittadini lo raggiunsero, lo sdraiarono sopra una pietra, e ivi l’uccisero; troncategli poscia il capo, sulla punta di un’asta, in trionfo lo portarono in giro pel paese.

La Pietra del drago - Meraviglie di Calabria - 22
La Pietra del drago, dove sarebbe stato giustiziato il pirata Dragut

La pietra su cui Dragut ferito erasi rinvenuto disteso, fino a pochi anni dietro mostravasi ancora e veniva chiamata la pietra del drago, abbreviazione di Dragut. Questo fatto, che, come il più accetto, trascriviamo dalla Cantica del nostro concittadino Oliva, viene da altri narrato con qualche diversità: né noi lo riteniamo vero in tutto, massime circa l’uccisione di Dragut Kais, che con l’Oliva giudichiamo essere certamente falsa, e nata forse dall’aver creduto i terrazzani di Palma o Carlopoli, nell’uccidere il capo di quella torma di pirati musulmani, avere ucciso il feroce e giustamente odiato Dragut, che tanto danno aveva apportato alla loro patria. Pertanto esiste tuttora, presso il luogo dell’avvenimento, un’edicola con una nicchietta, nella quale è dipinta ed esposta alla divozione dei pietosi passanti, una immagine della Madonna del Carmine con le anime del purgatorio; e questa edicola, dalla gente del luogo viene chiamata la Croce dei morti, in memoria dell’eccidio, ivi accaduto, non solo dei Turchi, ma pure dei terrazzani di Palma: i quali, avvisati dai torrieri, dell’avvenuto approdo e sbarco di corsari, si erano in fretta raccolti, per affrontarli con vantaggio, e respingerli prima che questi avessero raggiunto il piano sulla costiera. E infatti la Pietra del drago era sita sulla spianata, di lato alla strada che mena alla Marinella, a circa duecento passi al sud dell’edicola suddetta: la quale sorge al punto dell’incrociamento di questa strada, con un’altra più larga, chiamata anticamente Strada degli olmi, che si parte dalla porta diruta (Portello) del lato occidentale delle mura di cinta di Palmi, e si dirige alla torre, oramai diroccata, sulla vicina costiera di ponente».

Sorrentino

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Qualche anno fa Sant’Elia Speleota è apparso in sogno a un devoto di Bagnara, e gli ha chiesto di riparare un suo romitorio sulla spiaggia ai confini dell’antica proprietà del monastero di Melicuccà. Guidato dal sogno il devoto pasticciere, perlustrando con la barca la marina fra Bagnara e Palmi, ha trovato il romitorio e l’ha restaurato, secondo i suoi gusti. Si trova esattamente dove le antiche carte indicano i confini del monastero. Sull’altarino della chiesetta, che si raggiunge soltanto con la barca, il devoto ha posto un cartello dove c’è scritto: «si accettano offerte di preghiere, non di soldi» (D. Minuto, 2002).

Spiaggia Leone

L’ipotesi, assai credibile, è stata avanzata dall’antropologo Serge Collet, nel convegno “I santi delle Saline”, tenutosi a Melicuccà nel luglio del 1994, «[… ] e ben pensabile che  il monastero Imperiale di Sant’Elia sui Piani della Corona (corona dell’imperatore bizantino), avesse contatti con la Sicilia e Costantinopoli, attraverso la via del mare, e quindi l’approdo naturale sottostante (trattasi della spiaggia Leone), la quale è legata al nome dell’Imperatore Leone di Costantinopoli, che volle fortemente la costruzione del Monastero imperiale, con cui il monaco Elia ha avuto intensi rapporti».

Cala Janculla

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Cala Ianculla si trova al centro della costa Viola nel comune di Seminara, ed è sito comunitario. Vi si accede soltanto dal mare, ha una bellissima spiaggia di sabbia bianchissima incorniciata da alti scogli, una magnifica grotta visitabile in barca e si affaccia proprio sullo scenario dello Stretto e delle isole Eolie.
Legambiente, dopo un attento monitoraggio dei litorali del Belpaese, ha selezionato Cala Janculla tra le 11 spiagge più belle d’Italia.

Grotta delle Rondini - Meraviglie di Calabria - 32
La Grotta delle Rondini

La costa viola è il mondo delle insenature nascoste e delle grotte raggiungibili solo via mare. Tra le tante qui le tre più famose sono la Grotta del Monaco, la Grotta Perciata e la Grotta delle Rondini. (Domenico Bagalà)

info@meravigliedicalabria.it

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