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Cena della Vigilia: abbiamo fatto tredici!

Cena della Vigilia: abbiamo fatto tredici!

È pronto! E si sente. Perché in giro per casa c’è un profumo che fa già da aperitivo e spalanca le porte dell’immaginazione (e dello stomaco) su piatti a base di pesce e verdure. E così, mentre ti dirigi verso la tavola per affrontare la cena della vigilia di Natale, inizi un’esperienza sensoriale pregustando la scia di quelle alici finite in padella per condire la pasta. Si sente anche perché alle nove di sera “suona la Gloria”. Succede a Cosenza e significa che alle 21 rintoccano le campane (e rimbombano pure parecchi spari dalle finestre di chi non riesce proprio a rinunciare ad essere pirotecnico in queste occasioni): i cosentini si fanno gli auguri di Natale a quest’ora, prima di sedersi a tavola, e non solo a mezzanotte come si dovrebbe, visto che il Natale celebra la nascita di Gesù. Il rituale è legato ad una leggenda che risale al ‘500 quando un signorotto spagnolo s’invaghì di una giovane cosentina, Polidora, che lo rifiutò. Allora, lui giurò che sarebbe stata sua a tutti i costi, e prima della mezzanotte di Natale. La giovane chiese asilo al vescovo di Cosenza che le promise di proteggerla e invece si fece corrompere cedendo Polidora al signorotto in cambio di denaro. Così, la sera del 24 permise agli uomini dello spagnolo di entrare nel vescovado ma Polidora, vedendosi ormai spacciata, preferì la morte ad una vita accanto a quell’uomo e così si buttò dalla finestra. Erano le nove in punto. Da allora, i cosentini, in segno di protesta contro quel tradimento, anticiparono i festeggiamenti del Natale alle nove senza aspettare la mezzanotte. Ed è ancora così: la Gloria suona, i commensali si abbracciano, baciano il pane di Natale e si mettono a tavola per dare inizio alle danze.

Tra religione e gastronomia

In lungo e in largo per la Calabria ogni famiglia, nel tempo, ha personalizzato la tradizione restando, però, sempre fedele alla simbologia che crea un legame tra religione e gastronomia. Perché a prescindere dalla tipologia di pesce o di ortaggi che si mette nel carrello per la sera del 24 dicembre, in tavola finiranno sempre tredici portate. Un numero allusivo che rimanda all’ultima cena di Gesù con i dodici apostoli. Ma non solo, perché certe pietanze rappresentano anche un momento significativo della storia sacra: mangiare del pesce, infatti, è un inno al miracolo di Gesù della moltiplicazione dei pani e dei pesci e alla figura di San Pietro, “pescatore di uomini”, e alle sue reti in mare che si riempirono fino a stracciarsi. Preparare delle melanzane ripiene, invece, è evocare il corpo di Gesù avvolto in un lenzuolo. Insomma, pure a Natale il cibo non è mai soltanto cibo.

Vigilia, profumo di mare

Il pesce vince sulla carne (che sarà, invece, regina indiscussa del pranzo di Natale) accompagnato da verdure e ortaggi: la cena della vigilia è un elogio alla generosità e alla stagionalità della terra calabrese e il baccalà è grande protagonista della serata, in tutte le salse. Il che vuol dire che non si tratta semplicemente della portata principale ma delle portate principali (plurale!). Non mancherà, perciò, il baccalà fritto, in umido con pomodorini e olive e preparato a mo’ di insalata fredda. L’altro piatto irrinunciabile e che accomuna tutte le province, da Nord a Sud, è la pasta con la mollica di pane e le alici: un tripudio di cremosità e croccantezza nato dalla magia delle alici che finiscono per sciogliersi in padella e diventare una sola cosa con mollica di pane e olio che fa da contraltare alla mollichina rosolata, pura magia quando viene spolverata su una piccola montagna di spaghetti: bella come la prima neve d’inverno. E poi i broccoli, freddi e caldi, preparati come un’insalata e una minestra.

Il tavolo dei dolci

Pasta con alici e mollica, baccalà e broccoli è la triade intoccabile: le altre portate (fino ad arrivare alle famose tredici) nascono un po’ dalle abitudini (e dai gusti) delle famiglie. Perciò si vedranno arrivare piatti pieni di frittura di calamari, ad esempio, o gamberi grigliati o ogni sorta di pesce cucinato al forno, al cartoccio o sotto sale. È questo il grande preludio al momento più atteso della serata che non prevede piatti e porzioni: in questo caso, l’unità di misura è il tavolo. Per la sera della vigilia si allestisce il tavolo dei dolci (che manca solo la confettata e ti sembrerà di essere alla fine del pranzo di un matrimonio), una distesa in cui specchiarsi nel luccichio del miele che brilla su turdilli e scalille.

Poco prima di mezzanotte finirai con le mani appiccicose di zucchero, mandorle e cioccolata e se non ti lecchi le dita godi solo a metà (che patatine al formaggio levatevi proprio!). It’s the final countdown (l’hai letta cantando?): la vigilia è nell’aria e nemmeno quest’anno abbiamo bisogno di sperare che sia una bella serata e una bella cena. Perché ogni volta che ci mettiamo a tavola con le nostre famiglie a condividere una tradizione abbiamo già fatto tredici!

Rachele Grandinetti

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