Caterina Ceraudo, la stella Michelin quando tutti dicevano: “Non si può fare”
Caterina Ceraudo, chef una stella Michelin per il ristorante Dattilo di Strongoli, a Crotone: due bambine, un marito sous chef (è Sante Longo e in cucina è il mago della panificazione) e gli occhi pieni di sogni. In questo ha preso dal padre Roberto, fondatore dell’Azienda Agricola. Qui inizia tutto con lui, dal suo sogno, quando appena ventenne decise di investire sulla terra per produrre vino e olio: «I sogni sono sempre audaci, altrimenti non sarebbero sogni: se ti arrendi è finita», lo ha detto anche a me durante una lunga chiacchierata. Il signor Roberto è inarrestabile: un fiume in piena e pieno di vita, quelle persone che hanno fatto e visto così tanto che avranno sempre qualcosa da raccontare, e non risparmia nemmeno le domande! Risultato: in cinque minuti sarete già grandi amici.
Un’azienda agricola fuori dal tempo
Lungo un itinerario del gusto, l’Azienda Agricola Ceraudo è una tappa inaspettata perché la raggiungi attraversando strade mai percorse, a volte sterrate, ci vai perché l’hai cercata, non puoi essere di passaggio e appena arrivi si apre un mondo: appena arrivi ti senti a casa. È un posto fuori dal tempo ma non perché ti proietta nel passato. Anzi. Il concept è avanti ma le lancette rallentano: è come cliccare su “pausa” e dimenticarsi di tutto, pure dello smartphone. Quello, semmai, servirà solo a scattare foto in giro per la tenuta vista Ionio e ai piatti (le mise en place di Caterina sono piccole opere che vorresti farci un quadro, altro che foto). D’altronde il cibo è un fatto di famiglia: «Nonna Caterina aveva 12 figli e 27 nipoti, era come aprire un ristorante tutti i giorni», dice la chef. Anche la mamma è stata un grande esempio: «Ha sempre lavorato ma la pasta fresca in tavola non mancava mai. È quello che ho imparato da lei: basta organizzarsi». Contro ogni sua aspettativa, c’è riuscita pure Caterina che si era rassegnata all’idea di non avere una famiglia sua: come gestire tutto? Invece ci ha pensato la vita e oggi Alice e Anita, rispettivamente tre anni e un anno mezzo, sono un bellissimo sottofondo mentre parliamo al telefono.
L’esempio di Niko Romito
Il papà ha avuto ragione e pure Niko Romito. Cosa c’entra lo chef tristellato? Quando Roberto Ceraudo amplia l’offerta dell’azienda aprendo il ristorante, Caterina va ancora a scuola. Prenderà il volo per Pisa per studiare enologia ed è in quegli anni che l’alta ristorazione diventa un vero canto di sirene: «Ogni volta che superavo un esame mi regalavo una cena importante e quando tornavo a casa chiedevo continuamente: perché non possiamo fare anche qui la stessa cosa?». Strongoli è la sua Itaca. È allora che approda da Romito: «Ho studiato per capire come funziona un ristorante importante e non solo per sapere di cucina e, alla fine, tutti quei “non si può fare” sono stati il catalizzatore verso una carriera differente». Niko diventa per Caterina un secondo padre: «Li paragono spesso perché hanno creduto nel loro sogno e investito in una terra strana. L’Abruzzo, in fondo, non era una regione così prossima al turismo».
Prodotti locali e memoria: i piatti sono la mia storia
Caterina torna e inizia un nuovo percorso: vuole dare al ristorante una nuova veste. Non è stato esattamente come giocare con le Barbie, soprattutto perché c’era un’impronta completamente diversa: «Trovavi dal fois gras al granchio reale della Scandinavia. Persi quasi tutta la brigata ma non fu un momento di sconforto: doveva essere un momento di forza. Ho ragionato sui prodotti locali e sulla memoria perché volevo raccontare la mia storia. Gli studi enologici, in questo, mi hanno aiutata: la diversità è sempre un plus. Quando ero in Toscana amavo quel senso di appartenenza e io volevo la stessa cosa: far venire le persone per mangiare cose che possono trovare solo qui». Ha avuto ragione, nonostante sentisse sulle spalle il macigno della stella che il ristorante aveva già preso nel 2012. «Quando sono subentrata abbiamo comunicato alla Michelin il cambio. Ero terrorizzata perché perderla dopo anni di sacrifici e investimenti solo perché mi ero messa io in cucina sarebbe stato tremendo ma ho cercato di farmi guidare solo da un’idea: deve piacere il piatto». Dopo soli sei mesi, la conferma della stella e la consacrazione di Caterina nel cielo della gastronomia a cui seguirà il riconoscimento “Donna chef dell’anno” nel 2016 secondi Identità Golose e nel 2017 il premio come “Miglior Chef Donna” della Guida Michelin che riconfermerà la stella verde.
Caterina è lo specchio della sua cucina: «I piatti sono un’evoluzione di ciò che sei diventato e ti ricordano chi eri», dice. Perciò il menù cambia ogni stagione ma alcuni piatti restano. Sono quelli storici, come la spigola cotta in acqua di limone con gel di limone, emulsione di spigola e foglie di limone essiccate ovvero: come creare la meraviglia con due soli ingredienti. Una cena da Ceraudo strappa un sorriso un piatto dopo l’altro: il coulis di datterino, ciliegino marinato e insalatina di cuore di bue, tanto per dirne una, è un’esperienza sensoriale impagabile, ti sembrerà di mangiare un’insalata di pomodori ma con la consistenza di una granita siciliana. O il capellino freddo con emulsione di ostriche crude, bacche di goji e olio: un tuffo nel mare e un elogio alla delicatezza. La cosa straordinaria è che finisce nel piatto tutto quello che ti circonda, dall’olio alle marmellate che mangerai a colazione sul pane appena sfornato: la cosa straordinaria è che dopo ore di cucina e di lavoro, Caterina lascia la brigata per parlare con te, come davanti ad uno Spritz. Vuole sapere come stai e se è andato tutto bene. Ed è lì che comprendi fino in fondo la sua stella: chef Ceraudo ha l’umiltà dei grandi.
La nuova apertura a Padova
Il sogno di Caterina ha fatto centro e oggi mette in buca un punto importantissimo: il prossimo 6 ottobre, infatti, è prevista l’apertura a Padova del suo “Graya” all’interno del prestigioso Golf Club. Anche a mille chilometri, radici profonde, a partire dalla scelta del nome: “Graya” in arbëreshë significa donna, omaggio all’Azienda ed in particolare al suo fondatore Roberto di origini albanesi. Un secondo indirizzo per casa Ceraudo che porta la Calabria lontano. In questo Caterina è pioniera: prende dal Sud tutto il buono dell’agricoltura che c’è e ne fa un progetto imprenditoriale al Nord. Intanto continua a credere nella sua Strongoli e a investire sull’autoctono, dai fornitori alla brigata: «Nella nostra azienda – mi racconta alla fine con un sorriso – operano anche persone che vengono da fuori. E sai cosa gli dico? Visto? Alla fine siete venuti voi a lavorare in Calabria!». Perché un nuovo racconto è sempre possibile: basta un sogno, una terra bellissima e un pizzico di audacia, sale della vita.
Rachele Grandinetti