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Lo scacchista di Cutro che stregò il Re di Spagna

E’ solo un gioco? Forse.Di certo ha una lunga storia e, soprattutto, tante storie da raccontare. Partiamo dall’inizio, leggende a parte il gioco degli scacchi pare sia nato in Persia nel VII secolo ed al persiano si deve infatti l’espressione che li caratterizza “scacco matto” da shah mat, “re sconfitto”.Gli arabi, dal X secolo, lo introdussero in Italia e Spagna ed attorno a questi due Paesi si sviluppa la storia che tra poco racconteremo, per giungere poi ai giorni nostri. Ma procediamo con ordine. La prima indicazione scritta degli scacchi nel nostro Paese risale a poco dopo l’anno mille, siamo nel 1061 ed a scriverla fu Pier Damiani, Cardinale di Ostia divenuto poi Dottore della Chiesa e Santo.Si tratta di una lettera, conservata a Montecassino, nella quale il Cardinale Damiani informa il Papa Alessandro II della penitenza inflitta ad un Vescovo, colpevole di aver preferito rispetto ad altre e più importanti occupazioni spirituali giocare a scacchi per un’intera notte. La difesa del Vescovo riguarda ciò che ancora oggi viene detto degli scacchi, ci si impegna, si riflette, si pondera, insomma è puro ingegno e dunque avrebbe poco a che fare con una dimensione esclusivamente ludica.Nel 1168 le cronache raccontano che a Pisa, in un rigido inverno, alcuni uomini – nonostante il freddo – misero sedie e tavolini sul ghiaccio per giocare a scacchi e la Toscana, con Dante, Boccaccio e Petrarca, conferì al gioco un’aurea di letteratura.
Andiamo avanti di qualche secolo fermandoci al 1575, forse viene difficile da pensare ma proprio in quegli anni il Re di Spagna, Filippo II, organizza un torneo di scacchi per l’Europa ed il Nuovo Mondo. Quattro secoli e mezzo fa alla corte spagnola appassionati e professionisti di scacchi si sfidano davanti al Sovrano per vincere ed ottenere una considerevole somma di denaro; vi partecipano in tanti ma solo in due arrivano in finale, il primo è un nome importante della cattolica Spagna, il Vescovo di Segura, monsignor Ruy López, l’altro è un giovane calabrese, Giovanni Leonardo di Bona.Di Bona, noto anche con il nome de “Il Puttino” per la sua non eccezionale statura, non era la prima volta che incrociava i guanti della sfida con il vescovo spagnolo; molti anni prima i due si erano scontrati a Roma ed il cutrese aveva perso. Da quella sconfitta in poi Leonardo di Bona si impegnò per perfezionare la conoscenza degli scacchi, le tecniche e le mosse e nel frattempo – sempre giocando – vinse 200 ducati e la libertà per suo fratello catturato dai temuti pirati Saraceni. Nel 1575, dunque, i due si trovano di fronte alla scacchiera e l’esito è diverso dalla prima sfida, davanti al Re il giovane cutrese ha la meglio sul Vescovo spagnolo, vince per 3 a 2, dopo aver perso – pare per una sofisticata tecnica di inganno per l’avversario – le prime due sfide. La partita ebbe tale risonanza da essere immortalata dal pittore Luigi Mussini in un celebre quadro (nella foto in copertina).Ma ciò che passò alla storia ed alimenta la tradizione di oggi è la scelta fatta dopo la vittoria, Di Bona rifiuta la somma di denaro messa in palio e chiede al Re due cose sorprendenti e cioè che il suo paese venisse elevato a rango di città e che i suoi cittadini fossero esentati dal pagamento delle tasse per 20 anni. Una richiesta singolare che il Re, Filippo II, decide di assecondare ed è per questa ragione che la città di Cutro rimane, ancora oggi, intimamente legata al gioco degli scacchi ed all’audace scelta compiuta secoli fa dal suo illustre cittadino.Per celebrare quell’evento ogni anno nel centro della provincia crotonese si da vita ad una storica rievocazione, nella piazza centrale di Cutro una grande scacchiera pavimentale si anima con “pezzi viventi” impegnati in una partita a scacchi. L’atmosfera della città si trasforma, centinaia di figuranti trasportano tutti lungo un ideale viaggio temporale alla corte spagnola di Filippo II; Cutro diventa medievale, omaggia le prodezze di Di Bona e rinnova la tradizione degli scacchi.
Lo incendio lor seguiva ogni scintilla;Ed eran tante, che il numero lorPiù che il doppiar degli scacchi si immilla.(Dante Alighieri – XXVIII canto – Paradiso)

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