Arte tessile, le coperte di Longobucco (FOTO)
Immerso nella Sila Greca ed al centro di un territorio segnato da fiumi, laghi e montagne, Longobucco ha una storia antica e secondo molti autori alle sue miniere d’argento facevano riferimento prima i Sibariti ed i Crotoniati e poi i Romani per forgiare le loro monete. Un’indicazione questa priva però di solidi riferimenti, la storia, quella ufficiale e documentata, racconta di un centro esistente nell’XI sec. con l’arrivo dei Normanni e che prosegue nei secoli successivi con le dominazioni di Angioini, Svevi e Aragonesi. Nel medioevo a Longobucco prende forza lo sfruttamento delle miniere argentifere e si sviluppa l’arte orafa, alla fine del XVII secolo i costi di estrazione dell’argento determinano il declino, l’attività cessa del tutto nel XVIII secolo con un terribile terremoto che fece crollare le miniere.
“In quel momento, Longobucco mi apparve come una di quelle città di sogno delle Mille e una Notte, evocate per magia nell’immensità del deserto”.
Norman Douglas – Old Calabria
Questo centro del Parco Nazionale della Sila è noto per l’arte della tessitura con disegni, motivi e colori che lasciano, da sempre, letteralmente stupiti.
“Avevo assistito (…) in casolari coperti e bloccati dalla neve, alla creazione di superbe bellezze: m’ero, tante volte piegato in religioso raccoglimento sugli orditi portentosi delle donne dei monti calabri e avevo assistito al mistico germogliare e al lieto rifiorire di lussureggianti primavere (…) E in poche ore, calde di vita, balzavan figure e ornamenti leggiadri: era la creatività dello spirito, trionfante delle ostili forze della materia bruta. Quando le coperte di Longobucco, nel 1909, furono tratte fuori dalle casse, alla luce del sole, in via Colletta, nella patria di Dante e di Giotto, qualcuno esclamò: “Ma dov’è codesto Longobucco? Codesta terra benedetta dove le fate, che non sanno di alfabeto e di disegno, traggono tanta varietà di colori? E fu un correre e ammirar.”
Giovanni De Giacomo
A Longobucco i tessuti per eccellenza sono le coperte, dalle prime e rudimentali a quelle che poi stupirono per colori e disegni; una coperta completa si compone di cinque disegni concentrici, al centro “u sìattu”, il disegno di fondo, e poi “u parafilu”, “a guardiédda”,“a greca” e infine “u pizzìattu”. Conclude il tessuto la “francia”, realizzata a mano e al telaio. Tre le diverse lavorazioni: a rilievo o “pizzulùni”, piatta o “trappìgnu” e “a ri pìari”. Il metodo detto “cucchìdda” è ormai scomparso, con questo tipo di lavorazione era possibile realizzare soltanto figure geometriche e le coperte sono ormai rarissime.
La particolarità delle creazioni longobucchesi risiede nel fatto che il motivo del tessuto non è un ricamo propriamente detto ma fa parte del tessuto stesso, oltre alla trama ed all’ordito viene infatti immesso un terzo filo che attraversa i fili d’ordito orizzontalmente. Le tessitrici utilizzano dei modelli definiti “nziambri”, alcuni di questi sono custoditi gelosamente e circondati da leggende. Uno dei più noti è “U puntu eru Juriciu” (Il punto del Giudice); si narra che per sdebitarsi nei confronti di un giudice che aveva reso giustizia al figlio, una madre longobucchese immaginò questo disegno e cioè una bilancia formata da una sega, un albero, due rami di vite, due colombe. La simbologia è presto detta, la sega è il taglio netto della giustizia, l’albero è simbolo della vita e della forza, i rami di vite simboleggiano la gioia, la bilancia è il simbolo della giustizia, le colombe segno di pace.
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