A Roghudi, là dove il tempo si è fermato
Aspro, affascinante, identitario. Benvenuti a Roghudi Vecchio nella Città Metropolitana di Reggio Calabria. Ci troviamo all’interno della meravigliosa Calabria grecanica, in Aspromonte, nella vallata dell‘Amendolea che vede alternarsi senza soluzione di continuità monti e dirupi. Il legame con la natura della comunità locale che popolava questo antico borgo, oggi disabitato, era inscindibile e profondo, tanto che quella sensazione di “essere sospesi” a circa cinquecento metri sul livello del mare, sostenuti dalla montagna che domina la vallata e digrada dolcemente verso il letto del fiume, “in bilico” tra la forza della natura e l’ardire umano dell’abitare una zona così impervia, tra un passato identitario e un futuro ancora tutto da definire, ritornerà più volte nelle vicende di questo antico borgo.
Il suo nome deriva dal greco rogòdes, ricco di crepacci o da rhekhodes, aspro, che gli antichi abitanti avevano ben scelto per descrivere questa realtà unica e suggestiva che attira turisti e curiosi desiderosi di osservare il borgo nel quale il tempo sembra essersi fermato, nel silenzio e nell’atmosfera “sospesa” che domina Roghudi Vecchio e che gli conferisce quel fascino segreto e misterioso che incuriosisce e attira.
La storia del borgo di Roghudi Vecchio e il legame con la natura
Le prime tracce del borgo antico di Roghudi Vecchio risalgono al 1050, quando questa comunità avrebbe probabilmente fatto parte di un comprensorio grecanico più vasto, prima sotto l’influenza dei Bova fino al XII secolo e poi sotto il dominio dalla Stato dell’Amendolea fino al 1806, ma Roghudi Vecchio subì, più delle dominazioni che si sono succedute sul suo territorio, il potere della natura. Generosa nel donare alla sua antica comunità uno sperone sul quale costruire un borgo dalla vista incredibile, ma anche matrigna e calamitosa in diverse occasioni nelle quali dimostrò tutta l’asprezza e la potenza della quale è capace. Il borgo di Roghudi Vecchio è infatti disabitato a seguito di due violentissimi alluvioni che colpirono la zona grecanica con tutta la loro forza prima nel 1971 e poi nel 1973, rendendo le case inabitabili e dunque facendo diventare il paese un “borgo fantasma“; la popolazione dell’epoca, composta da circa milleseicento abitanti, lasciò infatti il proprio borgo natio scendendo alle pendici della montagna nella zona marina, “Roghudi marina o nuova”, un margine di territorio concesso per solidarietà dal Comune di Melito Porto Salvo.
L’affascinante e silenzioso mistero della natura, tra mito e realtà
Questo borgo, tassello di un antico e straordinario mosaico che compone quelle realtà calabresi che parlano greco, ha mantenuto nel corso del tempo un filo diretto con il mondo greco classico e con la sua mitologia che affascina ed incuriosisce anche nelle spiegazioni che gli antichi abitanti di Roghudi Vecchio avevano elaborato per descrivere alcune meraviglie naturali.
La contrada Ghalipò di Roghudi Vecchio sarebbe stata, secondo la leggenda, popolata dalle Narde, delle donne con i piedi a forma di zoccolo desiderose di sedurre gli uomini di questo suggestivo borgo e di ingannare le donne del paese, conducendole al fiume fino ad ucciderle. Questo antico mito grecanico richiama in forme diverse ma simili la leggenda delle Nereidi, una storia della mitologia greca che parla di mare e racconta di ninfe immortali che affiancavano il Dio del Mare Poseidone.
Passeggiando nella frazione di Ghorio di Roghudi ci si può imbattere in peculiari formazioni rocciose denominate “rocca tu dracu”, la rocca del drago e “caldaie del latte”; la prima sarebbe la dimora abituale di un drago che abiterebbe questi luoghi custodendo un tesoro, mentre la seconda la fonte del suo nutrimento. Come tutte le leggende un fondo di verità, edulcorato dalla fantasia narrativa, si accompagna alla classica immagine medievale di un drago che che custodisce un tesoro: il drago che uccide i visitatori di queste bellezza naturali impervie potrebbe forse rimandare ai pericoli che caratterizza un tratto montano così scosceso e impervio, mentre il tesoro essere un richiamo alle ricchezze nascoste tra gli anfratti dagli antichi briganti che popolavano queste montagne dell’Aspromonte.
Insomma, mito e realtà, fantasia e bellezze naturali si incontrano a Roghudi Vecchio, creando un’atmosfera magica che lascia intravedere le spiegazioni fantasiose che forse gli antichi abitanti di questo silenzioso custode del tempo, oggi abbandonato, hanno tramandato attraverso la cultura orale popolare per spiegare alcune delle meraviglie dalla natura qui presenti che ancora oggi non smettono di stupire.
Un prezioso tassello nel meraviglioso mosaico della Calabria grecanica
Una toponomastica greca, un misto di greco arcaico antico e bizantino utilizzato sino alla prima metà del ventesimo secolo, quando nel borgo si potevano incontrare solamente persone che parlavano questa lingua, oggi meno praticata ma non completamente dimenticata, anche grazie alla presenza di diverse associazioni culturali che tramandano e conservano questo idioma, inestimabile vettore e codice di uno dei tanti segni peculiari di una Calabria bellissima che fa della diversità culturale – non solo linguistica – uno dei suoi punti di forza nella propria proposta turistica identitaria. Proprio qui, nelle frazione Chorio di Roghudi, sono nati i “poeti operai” tra i quali Angelo Maesano, detto Mastrangelo, che ha composto l’inno dei Greci di Calabria “Éla mu condà”.
di Matteo Cosco
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