A Cosenza Vecchia, la felice storia della “putìca” premiata da Slow Food
Appare da dietro l’angolo bella, il passo sicuro e un sorriso florido e sincero. Percorre il breve tratto di marciapiede su Corso Telesio prima di fermarsi al piccolo dehors davanti alla sua bottega. Maria Caputo si siede soddisfatta per aver ritirato un altro dei riconoscimenti che da qualche tempo le sono attribuiti. Ed è felice di raccontarsi nella sua doppia dimensione di pizzicagnola e ostessa. La sua è una storia bella, di quelle che hanno a che fare con l’amore per la parte vecchia di Cosenza, con quell’identità definita nelle persone che la abitano, una sorta di segno di riconoscimento, di appartenenza, sapendo di essere depositari di storie che non necessariamente appartengono sempre ad un passato così lontano.
Su quel Corso, la via storica della città, Maria è passata tante volte, in particolare davanti a quell’antica e minuscola salumeria che emanava profumo di buono, sosta goduriosa per gli studenti del liceo Telesio per un panino (anzi, la panina!) traboccante di salame e formaggio da portare a scuola, o per il pranzo al sacco degli impiegati che lavoravano da quelle parti. Era il negozietto di prossimità, di quelli quasi del tutto spariti dai quartieri, che erano sì una necessità, ma erano soprattutto la scusa per una chiacchierata, per avere l’esatta percezione di ciò che accadeva nell’intorno. Una sorta di notiziario on demand d’altri tempi, per sapere fatterelli veri o conditi con qualche accenno di suspense. Ma c’era sempre e comunque una questione di fiducia piena riconosciuta alla figura del salumaio che, senza saperlo, sarebbe diventata nei ricordi di ognuno, un fatto quasi mitologico.
«Quando Peppino Sposato mi disse che era arrivato il momento di chiudere l’attività – racconta Maria Caputo – mi assalì la tristezza, soprattutto sapere che nessuno avrebbe continuato a tenere il negozio aperto. Lui era lì da 50 anni! Nella mia vita ho fatto tutt’altro, e mai avrei pensato che quella bottega potesse diventare il mio futuro. Sono trascorsi otto anni da quando l’ho rilevata e sono ancora qui». Quel posticino, diventato Bistrot Antica Salumeria Telesio, reca ancora l’insegna messa là da Peppino, e anche la porta e le vetrine esterne con deliziose modanature, e con la réclame anni ‘60/’70 dei prodotti “di marca” nazionale. Nell’insieme, un vero pezzo da museo.
Maria ha recuperato e conservato tutto così com’era, ma ha ricavato, nel piccolo magazzino accanto, lo spazio per cinque o sei tavolini e, al piano superiore, una similmente piccola cucina. Ciò che Maria ha fatto è dedicare ai clienti/passanti, oltre alla bottega vera e propria, la piccola ristorazione ma, com’è ovvio, anche la mitica “panina”. «Sì, il panino classico che dalle nostre parti tutti definiscono al femminile! Questa bottega continua ad essere un porto sicuro anche per questo, per la certezza di trovare un panino che poi è un attimo di sospensione del tempo e, perché no, di felicità».
«Qui ho voluto proporre la vendita dei prodotti migliori che la Calabria offre – racconta – e sono andata alla ricerca di tante cose che conoscevo. In realtà poi ho trovato tantissime delizie di nicchia, squisitezze assolute fatte, per esempio, da giovani che si sono messi in gioco e che hanno voglia di farsi conoscere. Mi sono spesso imbattuta anche nelle storie di produttori ed allevatori eroici, che hanno fatto scelte particolari nella loro vita. C’è ad esempio una delle casare di mia fiducia, Maria Procopio, che trasforma il latte delle sue capre – quelle di razza Saanen, che danno un latte delicato al gusto e poco grasso – in prodotti che sanno veramente di unicità. La sua è una favola a sé, una storia di emigrazione di ritorno (da Torino, e con le sue capre) alle sue origini calabresi».
Nella bottega c’è tutto il necessario che serve a chi sa riconoscere i prodotti di eccellenza, quelli a Km 0 (o quasi): da quelli lattiero-caseari trasformati in ogni modo possibile, ai salumi di suino nero locale, alle marmellate, ai vini di cantine rigorosamente calabresi, al fico dottato trasformato in deliziose “crocette” riempite di noci e scorzetta d’arancia, o come “paddruni i ficu” (acquolina in bocca di antica memoria), o ricoperto con fine cioccolato.
E il pane, non uno qualunque. Quello di Mangone fatto da “zia Teresina”, in un forno a legna storico che continua l’antica arte del pane fatto in casa, arriva al bistrot ancora fumante e riempie l’aria di un profumo che, insieme a quello che proviene dal banco dei salumi, possiamo solo immaginare che positivo stordimento possa dare. Maria Caputo si fa preparare anche delle pagnotte particolari come per esempio, adesso che è stagione, con i broccoli di rapa nell’impasto (gli intenditori sanno…).
E poi c’è la piccola ristorazione che qui è diventata un must: «In realtà – racconta ancora Maria – da quando ho riaperto la salumeria, coltivavo il sogno di mettere davanti qualche tavolino. Ho sempre pensato che la pausa pranzo non si dovesse consumare in piedi, frettolosamente. Così ho proposto a chi veniva, anche solo per una colazione lampo, di sedersi, di godere di quella mezz’ora di pausa, lentamente. Prima il panino, poi l’evoluzione in un tagliere con un assaggio di tutte le bontà che ho in negozio, poi ancora i primi piatti caldi. Degli gnocchi fatti al momento con la crema di zucca, o una pasta e patate della Sila, o una parmigiana con le melanzane del mio orto. Ho cominciato così, come se cucinassi a casa con gli ortaggi che la stagione offre, niente di particolare. D’estate insalate di pomodoro ricche e profumate, e poi le polpette così come mi vengono in mente».
In realtà, quello che Maria definisce “niente di particolare” contiene tutta la bontà del cibo senza pretese, quello preparato senza fronzoli, ma solo seguendo e catturando il sapore di tanti ortaggi, verdure, legumi, degli aromi straordinari come quello del basilico appena colto. A chi si siede a mangiare succede – come al critico gastronomico Anton Ego nel film di animazione della Disney, “Ratatouille” – di essere catapultati in un altro tempo, quello che richiama i sapori dell’infanzia, delle cucine roventi (o fucine?) delle nonne. Tutto questo non fa un posto di qualità se non c’è l’anima dell’oste, o ostessa in questo caso. La “putìca” è Maria stessa, è lei che meravigliosamente, come un’ape operosa, si muove leggera tra fare la spesa, discutere con in fornitori, predisporre al meglio ogni cosa e pensare felicemente ai piatti da preparare. I clienti lo sanno, ma della magia del bistrot si accorgono anche coloro che passano dal Corso Telesio per la prima volta, come i turisti che inevitabilmente si ritagliano un fuori programma di gusto. E che sorpresa, poi!
Di questo, evidentemente, si sono accorti gli ispettori gastronomici quando, alla chetichella, si sono seduti al bistrot. Così il locale è finito nella prestigiosa Guida Osterie d’Italia 2025 di Slow Food, nella nuova sezione dedicata ai “Locali quotidiani”, che premia quei luoghi dove è possibile trovare la qualità della cucina e l’accoglienza, con la semplicità della quotidianità. Felicita? «Altroché! La guida ha colto nel segno, ha colto lo spirito che – risponde felice Maria – con le ragazze che lavorano con me, mettiamo ogni giorno in tutto quello che facciamo. Accoglienza è una parola bellissima che può camminare insieme solo a cose buone e belle!».
Da 8 anni su Corso Telesio si corre in leggera salita per rinfrancarsi da Maria, non solo per il piacere di scoprire le cose buone che ha preparato, ma per stare insieme in uno spazio che è destinato proprio a essere “convivium”. «È quello che desideravo. Nella mia Cosenza Vecchia, che ha l’infinita bellezza di un posto dell’anima – e senza stravolgere le cose – si è ricreato un angolo in cui si sta insieme, si discute, si ascolta musica, si partecipa alla presentazione di un libro o a letture di poesie, si passa per la chiacchierata dopo la serata a teatro. Nel tempo lento che è necessario a tutti, da sorseggiare piano, come un vino raro dal calice».
di Daniela Malatacca (info@meravigliedicalabria.it)