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5 motivi per cui il vino calabrese sta conquistando il mondo

5 motivi per cui il vino calabrese sta conquistando il mondo

“Ma perché, in Calabria sanno fare il vino”? Quando un paio di anni fa ho sentito pronunciare questa frase mi è partito un brivido dalle caviglie fino alla nuca: un misto tra rabbia e stupore, quando ti si aggrotta il sopracciglio e la mente va in confusione e allora ti chiedi “sta succedendo davvero?”. Succedeva davvero e, fino ad una decina di anni fa, accadeva pure spesso. Perché la gente dimentica, si sa, e in questo caso ha fatto presto a cancellare migliaia di anni, perché a noi che ci viviamo dentro, forse, sembra superfluo ricordare che la storia inizia proprio qui, da quella Enotria, terra del vino, che ha dato alla pianta della vite terreno fertile, sole, vento e salsedine e lasciato, poi, che tante varietà prendessero il volo – si fa per dire – in giro per l’Italia e diventassero autoctone altrove. Repetita iuvant, magari aiuta chi pensa che la Calabria sia una regione vitivinicola giovane, che ancora deve compiere passi importanti. In realtà abbiamo iniziato a camminare come fossimo giganti poi, però, qualcosa ci ha fermato. Dovevamo crederci fino in fondo? È probabile. Perché per lunghissimo tempo, fatta eccezione delle grandi cantine di Cirò (KR) che hanno scritto le prime pagine, il mondo del vino calabrese è stato una raccolta di racconti brevi fatti di uve conferite a terzi, vino da tavola e nessuna passione per l’autoctonia. Poi, qualcosa è cambiato: qualcuno ha fatto switch accendendo un interruttore: e luce fu! Una luce sotto cui vedere chiaramente bellezza e potenzialità di un territorio generoso e disponibile, capace di riprendere le fila del discorso e togliersi di dosso un po’ di polvere e pregiudizio. È da una manciata di anni, ormai, forse una decina, che abbiamo cambiato registro e schiacciato il piede su un acceleratore che, in pochissimo tempo, ci ha portati già molto, molto lontano. Ecco, allora, i cinque motivi per cui il vino calabrese è la nuova stella nel firmamento enologico nazionale.

1 – Il valore degli autoctoni
In Calabria, come nel resto d’Italia, gli anni Novanta hanno visto un’ampia diffusione dei vitigni internazionali (Cabernet, Merlot, Chardonnay), ovvero uve che crescono bene un po’ ovunque perché sanno adattarsi alle più svariate condizioni pedoclimatiche. L’obiettivo era produrre vini moderni, molto apprezzati dal mercato in quel momento storico. A distanza di circa 30 anni da quel fenomeno, alcuni viticoltori continuano a utilizzarli in uvaggio insieme ai vitigni locali ma ormai soffia un altro vento in mezzo ai filari e l’attenzione si è rivolta al recupero e alla valorizzazione dei tanti vitigni autoctoni, al punto che oggi gli internazionali non superano il 20% della presenza nei vigneti calabresi, in costante diminuzione man mano che si procede con i reimpianti. Così, Gaglioppo, Magliocco, Greco Bianco, Zibibbo – tanto per dirne alcuni – regnano sovrani e lasciano che gli internazionali in casa nostra ci guardino un po’ dal basso verso l’alto.

2 – La forza dei grandi
Qualcuno direbbe che non è giusto parlare sempre dei “soliti”. In realtà dovremmo avere l’onestà intellettuale di riconoscere grandezza e valore a quelle cantine conosciute pure da quelli che si chiedevano se in Calabria sappiamo fare il vino perché sono sempre state un po’ il traino di tutto il comparto vitivinicolo regionale. Non possiamo non menzionare Nicodemo Librandi, il professore che ci ha lasciato in eredità buon vino e grandi insegnamenti nel segno della cooperazione (“fate rete, unitevi”, diceva sempre), della valorizzazione del territorio, della qualità. Oggi queste aziende continuano a far parlare di Calabria anche oltre i confini nazionali ma con la consapevolezza di non essere sole. E no, non è concorrenza: è capacità di fare spazio e unirsi in un abbraccio di calabresità.

3 – La forza dei “piccoli”
Accanto ad etichette conosciute un po’ ovunque abbiamo visto emergere in questi anni tante piccole realtà: sono giovani vignaioli nati digitali ma con una vocazione per la terra. La new generation ha dato un impulso enorme al vino calabrese perché ha preso tutto il buono del cambiamento che c’è dedicandosi quasi esclusivamente ai vitigni autoctoni con un occhio sempre rivolto all’ecosostenibilità. In tanti lavorano in regime di biologico ma anche chi non lo certifica in etichetta ha un’anima così green che fa di tutto pur di produrre in modo pulito e responsabile perché questa terra è di tutti e il vino è il frutto più bello.

4 – Vetrine importanti
Anche i numeri contano e negli ultimi tempi la Calabria ha fatto incetta di premi e medaglie in occasione di concorsi nazionali ed internazionali. Senza andare troppo lontano, al Concorso Enologico Internazionale Città del Vino che si è svolto nei giorni scorsi a Gorizia ci siamo aggiudicati 16 medaglie di cui 4 Gran Medaglie d’Oro, 11 d’Oro e 1 d’Argento. Impossibile, poi, non ricordare il Concours Mondial de Bruxelles che nel 2022 si è tenuto a Rende, in provincia di Cosenza, e che ha portato “in casa” non solo un medagliere sensazionale ma soprattutto una risonanza mediatica senza pari: parliamo di oltre 10.000 vini provenienti da 46 nazioni diverse, a testimonianza della sua portata globale e del suo richiamo per i produttori di tutto il mondo, e di una giuria di 300 esperti provenienti da 45 Paesi.

5 – A tutto enoturismo
È uno degli obiettivi su cui la Regione sta puntando mettendo in atto buone pratiche. Perché ci siamo guardati intorno e compreso che insieme alle meraviglie che la Calabria offre senza che noi alziamo un dito (paesaggi, natura, mare, monti, dolci pendii), le aziende vitivinicole rappresentano un’attrattiva in grado di generare turismo perché il mondo cambia e i viaggiatori pure. Il recente rapporto ICity Rank 2023 evidenzia proprio queste nuove tipologie tra cui spopolano i gourmands, ovvero giramondo che apprezzano l’autenticità di calici e piatti e il legame con la cultura alimentare. Così, sempre più cantine si sono rimboccate le maniche e aperte all’hospitality per offrire ai turisti esperienze in vigna e in azienda, passeggiate tra i filari e degustazioni in salette, racconti di famiglie che si sono trasmesse, di generazione in generazione, piante e amore per la terra. Soprattutto, per regalare nuovi ricordi di una Calabria-experience da condividere (e non solo sui social) e ripetere.
Rachele Grandinetti
(Foto copertina Librandi)

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